Avevo già dedicato spazio sulle nostre pagine virtuali a Carmelo Pipitone, in occasione del suo primo album da solista, dopo la lunga e felice esperienza con i Marta sui Tubi.
In “Cornucopia” il valente chitarrista siciliano si era dato la possibilità di esprimere le proprie istanze creative, giunte poi intatte a noi così cariche di autentica urgenza.
Le prime divagazioni dalla casa madre le aveva avute con due ottimi progetti (negli O.R.K. e in seguito nei Dunk), ma l’ebbrezza di un viaggio in solitaria offre spesso e volentieri dei risvolti più entusiasmanti e sorprendenti.
E allora a distanza di due anni eccolo alle prese con il suo personale sophomore, la prova del nove, la conferma che in lui alberga un vero animo da cantautore, pur con tutte le implicazioni che ne conseguono dal suo essere in primis un musicista, tradotte in una ricerca del suono invero preminente, così come nella cura per arrangiamenti che sgomberano il campo da qualsiasi equivoco pop.
Nel suo caso infatti convivono istinti da rocker intessuti in uno spettro artistico ben più vasto e compiuto, che si riflette ottimamente lungo le undici tracce di questo nuovo lavoro, intitolato a mo’di ossimoro (non l’unico in cui sarà possibile imbattersi) “Segreto pubblico”.
Non è che quelli di Pipitone qui raccontati siano dei segreti, ma in ogni caso le canzoni scavano in profondità nel suo vissuto d’autore, anche se poi come da consuetudine sembra che gli piaccia giocare a confondere l’ascoltatore portandolo su differenti piani della realtà .
I brani mostrano infatti diversi colori, tanto che l’album finisce con assumere le sembianze di un quadro dai toni policromi, non soltanto ottenuti mediante sonorità cangianti (come le atmosfere che finiscono per evocare) ma anche per via di un canto mai così espressivo, convincente (e coinvolgente), capace di trasmettere in maniera vigorosa quella molteplicità di significati disseminati nel disco.
Ed è indubbio inoltre quanto, pur senza strafare ma al contrario con tutta la naturalezza possibile, Pipitone riesca a fondere in un solo album tante anime musicali, mescolando bene art-rock, noise, raffinati tocchi jazz, obliqui climax chitarristici ed escursioni prog, senza tralasciare gli intrecci acustici che hanno reso famosi alcuni degli episodi più belli dei Marta sui Tubi.
Venendo alle singole canzoni, spesso simili a schegge sonore di breve (ma assai intensa) durata, i cambi di registro sono così evidenti e ficcanti da divenire quasi marchio di fabbrica dell’intero lavoro.
Pensiamo al trittico che segue la delicata introduzione acustica, in grado di arrecare una vasta gamma di sensazioni attraverso un vorticoso saliscendi: si va dai potenti toni declamatori dell’arrembante “Nera” (che nella seconda parte diventano vibranti e ipnotici), ai caldi vagheggi folk di “Le mani di Rodolfo” fino a confluire nell’intrigante magma sonoro di “Gabriè”, in cui Carmelo si affida al dialetto della propria Terra che conferisce ulteriore visceralità al tutto.
Se già questo primo assaggio dell’album ci aveva lasciato favorevolmente sorpresi nella sua varietà compositiva, ecco che il moto di stupore aumenta ancora con “L’intelligenza delle bestie”, brano assolutamente fuori dai canoni per originalità di scrittura e il suo ricorso a soluzioni musicali che richiamano alla mente addirittura il funambolico Frank Zappa.
Tuttavia Pipitone non ha smesso del tutto i panni del vagabondo sognatore riflessivo, come si evince nella malinconica “Giusti” e in una “Lei” dall’insolito ma indubbiamente affascinante mood jazzato, grazie all’intervento del sax a incunearsi nelle lande rock.
“Il mio vecchio mondo” funge da ultimo spartiacque prima dell’assalto finale: Pipitone affida la parte narrata ad Alex Boschetti e i versi assumono toni meditabondi, ad anticipare un’aria che si fa mesmerica e un po’ desolata in “Abbuccamo”, anch’essa eseguita in dialetto siciliano.
Con la successiva “Vertigini in mare aperto” si torna in territori battuti da un rock di matrice alternativa ma è il grido finale prima di venire assoggettati dalle dolci e notturne note introduttive di pianoforte (suonate da Paolo Pischedda), le quali poi accompagneranno da sole un testo tra il sussurrato e l’onirico in cui interviene alla voce Lorenzo Esposito Fornasari (che di “Segreto pubblico” è anche il produttore).
Non è un disco facilmente accessibile il nuovo di Carmelo Pipitone ma se due indizi fanno una prova (tenendo conto anche del precedente “Cornucopia”), sembra proprio non sia questo il fine principale del Nostro, impegnato com’è nel proporre una forma canzone lontana da stilemi commerciali ma decisamente accattivante e personale.
Non segue una linea precisa, non rincorre facili ritornelli o frasi a effetto ma, a conti fatti, è proprio quella la sua forza.
Credit foto: Benedetta Balloni