Fa simpatia questo tentativo italiano e targato Netflix di realizzare un action duro e virulento, notturno e di poche parole, come si fa da tempo in America (“You Were Never Really Here” ne è inevitabile e irragiungibile paragone). Fa così simpatia che voglio iniziare questo breve commento trovandoci un pregio a questo “La Belva”. Che non può essere altro che la prova di Fabrizio Gifuni, che ha messo da parte smorfiette e faccine tipiche del cinema italiano per recitare con il fisico, caricandosi sul corpo le scene d’azione e il dolore del suo stanco, ma furente protagonista.
Per il resto il film è un disastro.
Le scene d’azione non solo non avvicono, sono tecnicamente scarse e non fanno saltare dalla sedia, ma scarseggiano anche di idee – che, si sa, in assenza di un gran budget sono quello che ti salva il culo.
Il plot è una barbarità . Sin dall’esperienza traumatica subita dalla belva in missione da qualche parte in medioriente, fino al traffico di bambine, non si capisce manco bene a che scopo, in Nord Italia gestito da personaggi improbabili (i Mastini e Mozart!) che trovano acquirenti a telefono come stessero vendendo aspirapolvere Worwerk.
Se è su prodotti come “La Belva” che il cinema italiano intende puntare per farsi spazio nel mondo dell’action (così come sta cercando di fare con altro cinema di genere), siamo purtroppo lontani anni luce non solo dal modello americano, ma anche dalla clamorosa (a confronto con la nostra e non solo) scena spagnola.