La notizia del nuovo album di Nick Cave è arrivata qualche mese fa tra le righe dei suoi “Red Hand Files”, umanissima newsletter in cui risponde alle domande dei fedeli ascoltatori e parla molto anche di sè. La cancellazione definitiva del tour già rimandato una volta causa pandemia è stata uno spunto per ripartire, chiudersi in studio con il fido Warren Ellis e registrare otto brani. Grafica minimale in copertina, nessuna distrazione e libero sfogo lasciato alla creatività di un duo già autore di colonne sonore (oltre alla fruttuosa collaborazione nei Bad Seeds) che si ritrova in un tàªte a tàªte di rara intimità .
Il violino e i mille rumorismi che l’uomo ““ orchestra Ellis sa produrre accompagnano e sostengono la carismatica ed espressiva voce di Nick Cave in un viaggio tra le sfaccettature dell’animo umano. Il peccatore contrito e affranto di “Hand Of God” che riflette sul dissidio tra religione e spiritualità , tema molto caro al Lazzaro Cave che qui si poggia, si adagia su un arrangiamento orchestrale e sincopato. I sogni infranti, il piano spezzato e i lampi di accordi distorti che popolano “Old Time” in un clima minaccioso, cupo, da Vecchio Testamento (che gran peccato non poter sentire l’assolo di Warren Ellis dal vivo).
Non mancano momenti di calma come la title track squisitamente sognante e romantica. L’ironia pungente del musicista australiano fa capolino in “White Elephant”, spoken word con un risvolto politico tra statue che cadono, il white privilege che incombe e un finale gospel con tanto di campanelle festose che potrebbero irritare i puristi come fece a suo tempo “Nocturama”. Apre l’atlante Nick Cave e sogna di scappare ad “Albuquerque” anche se è impossibile, di perdersi in paradisiaci campi di lavanda. Celebra l’imperfezione, l’unione di due pazzie in equilibrio che formano una strana sanità mentale nella fragilissima “Shattered Ground”.
“Carnage” è un disco non violento, sperimentale senza estremismi, decisamente ipnotico, carnale e riflessivo. Nick Cave fine osservatore e poeta raggiunge livelli di sofferenza blues e afferra tenaci leggerezze melodiche trovando provvisoria pace tra ricordi, viaggi mentali, progetti. E’ lui l’uomo sul balcone che legge Flannery O’ Connor, il “Balcony Man” ferito e rinato che balla nel sole reggendosi su poche note di piano? Chissà . Intanto insieme a Warren Ellis regala quaranta minuti da godere e diverse frasi da scrivere sui muri delle città notturne svuotate dall’ennesimo coprifuoco. “What doesn’t kill you just makes you crazier“.
Credit foto: Joel Ryan