Allo scadere degli anni ’80 Lenny Kravitz si presentava sul proscenio musicale con un esordio memorabile, “Let love rule”, che pareva replicare i fasti di un altro celebre debutto discografico, ovvero quello di tal Terence Trent D’Arby.
Si parlò, giustamente, di nuova promessa della musica nera, spingendosi fino a definirlo “novello Prince“.
Lenny non inventava nulla ma, suonando comunque incredibilmente moderno, miscelava in maniera efficace un caleidoscopio di influenze, sia di matrice bianca che nera, cristallizzando una formula che lo avrebbe accompagnato, tra alti e bassi, fino ad oggi.
Era pertanto atteso al varco per il seguito, il nostro “Mama Said” del 1991, che necessariamente doveva far intendere o meno se solo di fulminante debutto si era in realtà trattato.
“Mama Said” invece confermò in maniera perentoria il valore di Lenny Kravizt, che da un lato riprese il mix stilistico di “Let love Rule”, ma dall’altro ne smussò gli angoli abbandonando la vena psichedelica che era emersa in alcuni frangenti del disco del 1989.
Rimanevano intatte la straordinaria capacità di sintesi e la perizia strumentale (Lenny era già famoso per essere un polistrumentista di valore), accompagnati dall’efficace songwriting.
Sotto questo ultimo aspetto la tracklist della side A (in anni in cui il formato cd stava prendendo piede ma a farla da padrone era ancora il vinile) era pressochè perfetta, mentre qualche episodio debole o trascurabile faceva capolino sull’altro lato, assicurando comunque un degno epilogo con un finale rappresentato dalla coppia “What the …, Are We Saying?” e dalla brevissima ma intensa ballad acustica “Butterfly”.
L’album convince sin dal primo pezzo, una cover del brano “Fields of Joy” (abitudine che si ripeterà con la più famosa “American Woman”) riarrangiata in maniera esplosiva e seguita dall’irresistibile singolo “Always on the Run”, che vide la partecipazione di Slash dei Guns “‘n’ Roses, presente anche nel brano precedente.
Seguono altre tracce come la ‘lennoniana’ “Stand by My Woman” e la ballata soul “It Ain’t Over ‘Til It’s Over” .
Quest’ultima rappresenta il vertice delle numerose ballate presenti nell’album, dove è radicata l’influenza del Prince più mellifluo, ma ancor di più di Marvin Gaye e Curtis Mayfield & The Impressions.
Tutto risulta condito insieme ad ampie spruzzate hendrixiane, tanto suono seventies, funk a profusione nei brani più ritmati, con numi tutelari sempre presenti quali Sly & Family Stone (forse i più grandi, insieme al folletto di Minneapolis, nell’unire le anime black & white).
La carriera di Lenny, forse inutile ricordarlo, prosegue fino ai giorni nostri, nonostante le numerose critiche di coloro che lo accusarono di non aver confermato lo status raggiunto dai primi due album. Dopo “Mama Said” segui l’altro grande album di Kravitz ovvero “Are You Gonna Go My Way”, seguito dal successivo “Circus”, che iniziò a mostrare un po’ la corda del suo stile ormai consolidato.
E’ per questo motivo che rispetto a molti reputo che la (peraltro riuscita) svolta mainstream di “5” , che gli regalò un successo strepitoso, fosse necessaria e giunta nel momento più opportuno, anche se successivamente non riuscirà più davvero a colpire nel segno, rimanendo in una sorta di permanente aurera mediocritas ma pur sempre apprezzabile.
Pubblicazione: 2 aprile 1991
Durata: 52:38
Dischi: 1
Tracce: 14
Genere: Rock
Etichetta: Virgin Records
Produttore: Lenny Kravitz
Registrazione: Hoboken al Waterfront Studios, 1990
Tracklist:
1. Fields Of Joy
2. Always On The Run
3. Stand By My Woman
4. It Ain’t Over ‘Til It’s Over
5. More Than Anything In This World
6. What Goes Around Comes Around
7. The Difference Is Why
8. Stop Draggin’ Around
9. Flowers For Zoe
10. When The Morning Turns To Night
11. What The Fuck Are We Saying?
12. Butterfly