Partiamo da due presupposti. Il primo è che, porca miseria, il concetto di far iniziare i concerti tardi dovrebbe uscire definitivamente dalla mente di chiunque decida gli orari. Può sembrare strano, visto il tasso di disoccupazione del paese in cui viviamo, ma c’è comunque molta gente che il mattino dopo lavora e che non trova brillante l’idea di far iniziare un concerto alle 23.26 (e direi che i fischi del pubblico infastidito supportano perfettamente la mia tesi).
Il secondo è che il fenomeno Glasvegas non l’ho mai del tutto capito e mi trovo al Magnolia sperando di trovare quel qualcosa che mi è sempre sfuggito (come, per esempio, la loro presunta forza live, viste le due deludentissime performance a cui ho assistito – Magazzini Generali nel 2009 e Benicassim, sempre nel 2009) e anche perchè nutro una certa curiosità : voglio ascoltare cosa si sono “inventati” di nuovo. Voglio dargli una terza -e ultima- possibilità .
Salgono sul palco con il loro solito atteggiamento tamarro accompagnati dalla “Sonata Al Chiaro Di Luna” di Beethoven e poi si lanciano nell’esecuzione di tredici canzoni, vecchie e nuove. Un’esecuzione in cui James Allan non suona mai, ma si limita a “cantare” avvolgendosi nel cavo del microfono illuminato come fosse un filo di decorazioni natalizie. Suonano meglio del previsto, seppur penalizzati da un’acustica decisamente pessima, che, tra le altre cose, non mi permette di capire se le canzoni nuove hanno del potenziale o no, ma solo di constatare che sono piene di sintetizzatori, di suoni digitali che coprono qualsiasi altra cosa.
Ci sono quei tre-quattro pezzi davvero forti che mandano in delirio il pubblico e che è impossibile non cantare (le ottime “It’s My Own Cheating Heart That Makes Me Cry” e la doppietta “Geraldine”-“Go Square Go”), ci sono tutti gli uo-oh del caso, c’è la nuova batterista che non sbaglia nulla e, purtroppo, non c’è nient’altro. James Allan prende stecche paurose quando lascia il “cantato-parlato” per tentare di cantare (e intendo cantare veramente) due note di fila ed è assolutamente insopportabile, soprattutto quando inizia la “Flowers And Football Tops” più lenta di sempre che diventa insostenibile dopo soli trenta secondi.
Dopo cinquantanove minuti esatti, la sigla di “Twin Peaks” accompagna fuori un pubblico sudato e contento, mentre io continuo a resistere al fascino (e a non capire il fenomeno) dei Glasvegas, sebbene questa volta siano riusciti a fare un concerto tutto sommato decoroso che valeva i dieci euro chiesti (averne chiesti di più sarebbe stato un furto). Aspetto di ascoltare il secondo disco con la consapevolezza che, se anche non dovessi mai più rivedere i Glasvegas dal vivo, non ne sentirei di certo la mancanza.
Setlist
THE WORLD IS YOURE
IT’S MY OWN CHEATING HEART THAT MAKES ME CRY
SHINE LIKE STATS
POLMONT ON MY MIND
ME MY BABY (The Ronettes cover)
MOON RIVER (Audrey Hepburn cover)
EUPHORIA, TAKE MY HAND
GERALDINE
GO SQUARE GO
ICE CREAM VAN
-encore
FLOWERS AND FOOTBALL TOPS
S.A.D. LIGHT
DADDY’S GONE