Tra le lezioni di piano che subisce (per tener vivo il ricordo della defunta moglie pianista) e quelle d’economia che impartisce, il professore ultrasessantenne Walter Vale traina come un rimorchio la propria esistenza “‘in riserva’. Più per obbligo che per piacere, si reca a New York dal Connecticut. Deve presiedere una conferenza su un libro a cui ha solo messo la firma. Nel suo intimo s’aspetta di trovare solo vecchi mobili impolverati dal ricordo del bel tempo che fu. Chi troverà dall’altra parte della porta del suo appartamento newyorkese saranno invece Tarek (Haaz Sleiman) e Zainab (Danai Gurira), giovane coppia d’ artisti e immigrati clandestini a cui un impostore ha affittato la casa e che però non hanno altro posto dove andare. L’incontro inaspettato (che costituisce una delle sequenze più esilaranti del film) dalla diffidenza e dalle grida iniziali muterà in una di quelle amicizie destinate a lasciare il segno nelle esistenze di chi le intreccia. Seconda regia per Tom McCarthy (dopo “The Station Agent” del 2003), questo piccolo gioiello che brilla di luce indipendente rappresenta davvero un ospite inatteso del cinema made in USA . Con una parabola attuale e quotidiana, benchè sotterranea, McCarthy mostra una tra le più nere derive a cui la democrazia americana è approdata dopo l’11 settembre. Richard Jenkins, grande caratterista, sulla scena da oltre 30 anni, ha finalmente ottenuto con il personaggio di Vale la parte da protagonista che potrebbe valergli l’ Oscar e che si è saputo giocare con la maestria propria di chi, abituato a giocare mediano si trova a fare la punta. L’immigrazione, la solitudine di chi finge di vivere per non dichiarare il proprio malessere, l’esistenza che scorre e si rincorre talvolta con strumenti inadatti alle proprie mani. Questi i temi di un film che ci parla della vita, oggi, in una città dove la Statua della Libertà si erge ad un’icona mai visitata dall’interno dagli stessi protagonisti. La musica è attrice, vettore e collante, linguaggio universale che unisce culture, età e appartenenze sociali diverse ma simili nel cuore. E la musica è anch’essa ospite: l’ospite inatteso ed ospite migliore, in grado d’imprimere nuovi ritmi e colori all’esistenza fino ad allora attesa e subita del professore, che passerà così dalle imbalsamate lezioni con un’altrettanto imbalsamata insegnante, al cuore pulsante di Central Park, trascinato dal ritmo delle percussioni africane. La vicenda è quindi come un confronto aperto e una narrazione del desiderio di vivere la propria vita in onesta semplicità . Vicenda che fluisce tra momenti comici (il professore che suona lo jambè in mutandoni), attimi di poesia e punte di lirismo “‘metropolitano’ (nel vero senso della parola) . Da vedere e ascoltare, con una mano sul cuore a, tenere il tempo. |
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