Una premessa: quasi certamente è un problema tutto mio ma, detto in maniera molto schietta, davvero non comprendo il motivo del clamore che circonda la musica delle Chai. Il fatto che “Punk”, il loro precedente lavoro datato 2019, si sia beccato una sonora bocciatura su questa webzine mi rincuora e mi fa sentire meno solo: Indie For Bunnies e i suoi redattori non si piegano facilmente all’hype. Ora, concluse le lodi all’integrità di questa nostra bella pagina, proviamo a scrivere due righe su un progetto che, come probabilmente avrete capito dall’interminabile preambolo, non merita un fiume di parole.
Il quartetto giapponese, idolatrato da Pitchfork e fresco di firma con la prestigiosissima Sub Pop, ha recentemente dato alle stampe un nuovo album – il terzo in una carriera iniziata neanche dieci anni fa – intitolato “Wink”. Un termine che suggerisce ammiccamenti e allusioni, visto che in italiano viene solitamente tradotto come “occhiolino”.
Un gesto di intesa e complicità che il quartetto di Nagoya ci rivolge senza nascondere un pizzico di malizia, quasi a voler sottolineare la disinvoltura con cui le ragazze sono passate dal simil-alt rock pazzerello e dalle tinte kawaii degli esordi all’attuale mix – dal sapore vagamente “ottantiano” – di sonorità electropop, neo soul, R&B, hip hop e bubblegum pop. Un miscuglio di generi dal fortissimo appeal commerciale al quale le Chai, seppur mettendoci passione e curiosità , non riescono a dare una forma precisa e incisiva.
“Wink” è un album chiaramente costruito per attrarre una particolare fascia di pubblico occidentale, ovvero quella composta da ascoltatori maturi che trovano intrigante il variopinto universo del pop asiatico ma, per qualche strana ragione, preferiscono celare l’interesse come fosse un mero guilty pleasure. Chissà , forse ci sono di mezzo motivi prettamente anagrafici: d’altronde, al giorno d’oggi, i veri idoli delle ragazzine di scuola media fanno parte di boyband coreane.
A differenza di BTS e compagnia cantante, le Chai un minimo di spessore artistico ce l’hanno: brani come “Donuts Mind If I Do”, “ACTION”, “IN PINK” ed “END”, pur puntando prepotentemente sul fattore dell’orecchiabilità , sono tutto fuorchè accozzaglie di hook e ritornelli faciloni. Sotto gli onnipresenti synth, le drum machine, i sample e le voci abbastanza irritanti delle pur simpaticissime sorelle Kana e Mana, quindi, c’è il cuore pulsante di un gruppo che vuol fare il proprio mestiere per bene, con gusto e dedizione.
Ma la strada per diventare davvero grandi è ancora molto, molto lunga e, a giudicare da certe pacchianate un po’ troppo sdolcinate o sopra le righe (“PING PONG!”, “Miracle”, “Wish Upon A Star”, “Salty”), il traguardo potrebbe anche non esser mai raggiunto.
Photo Credit: Yoshio Nakaiso