I Siouxsie and the Banshees sono, insieme a Cure e Bauhaus, i fondatori del cosiddetto “gothic-rock”, genere che all’inizio degli anni ’80 godette di ottima critica e pure di discreto riscontro commerciale, nonostante fosse una corrente prevalentemente di nicchia. Ma fra i tre, Siouxsie può appuntarsi l’ulteriore medaglietta di essere la prima ad aver pubblicato un disco: la storia del suo gruppo inizia nel 1978, con il singolo “Hong Kong Garden” e l’album “The Scream” (i Cure esordiranno a fine anno, i Bauhaus solo nel successivo).
Questo “Juju” è il quarto lavoro, successivo anche a “Join Hands” (1979) e “Kaleidoscope” (1980), ma si discosta dai precedenti per un insieme di intuizioni che ne giustificheranno la duratura acclamazione: riascoltarlo a 40 anni dall’uscita può aiutare a capirne il perchè. Toni e simbolismi esotici, da quelli africani richiamati nel titolo a quelli orientaleggianti, abbondano: in “Spellbound” e “Arabian Knights”, i due singoli e brani più famosi, Siouxsie e compari si divertono a immergersi in atmosfere malignamente allucinogene, prendendo decisamente le distanze dal punk degli esordi per ricondurlo ad una forma più matura di art-rock.
L’ipnotica “Into the Light”, sbilanciata da suggestioni tribali, fa il verso ai sabba stregoneschi, la lunga “Night Shift” procede sonnambula e immersa in un simposio di fantasmi. Ma ci sono anche l’accelerazione spaventosa di “Sin in My Heart”, il fuoco di fila di “Monitor”, la parodistica “Halloween”, il punk-cabaret di “Head Cut”, e la conclusiva “Voodoo Dolly”, un’altra teatrale declamazione in crescendo. Il risultato è un album particolarmente fantasioso, che si distacca dal gotico classico britannico per fondersi con la neo-psychedelia e flirtare con i primi vagiti “noise”.
“Juju” è, assieme all’esordio di “The Scream”, il disco migliore di una band influentissima e citata sistematicamente come pioniera tanto del post-punk quanto del gothic-rock, nonchè punto di riferimento di una miriade di gruppi alternativi anni ’90 (dai Radiohead agli Suede, dagli Smashing Pumpkins persino ai Red Hot Chili Peppers) che non mancheranno di pagare a quest’opera i giusti tributi. E noi, nel nostro piccolo, paghiamo il nostro.
Data di pubblicazione: 6 giugno 1981
Registrato: Leatherhead (UK)
Tracce: 9
Lunghezza: 41:06
Etichetta: Polydor
Produttore: Nigel Gray
Tracklist
1. Spellbound
2. Into the Light
3. Arabian Knights
4. Halloween
5. Monitor
6. Night Shift
7. Sin in My Heart
8. Head Cut
9. Voodoo Dolly