Il ritorno dei Red Fang ha tutte le carte in regola per far felici i fan più accaniti dello stoner rock. Suoni grezzi, abrasivi e possenti, in costante bilico tra l’essenzialità del garage e le acque torbide dello sludge metal; atmosfere “fumose” e un po’ psichedeliche; melodie scarne ma, quando poste al centro dei brani, estremamente accattivanti con le loro maestose sfumature orientaleggianti.
Aggiungete al piatto i riff assassini della coppia Bryan Giles/David Sullivan e i rocciosi incastri ritmici del bassista Aaron Beam e del batterista John Sherman per ottenere un album che, seppur incapace di farci strappare i capelli dalla testa per l’entusiasmo, raggiunge senza alcun problema il suo obiettivo. Che è uno e soltanto uno: ricordarci, per l’ennesima volta, che la semplicità è la virtù dei forti.
Le tredici tracce di “Arrows” sono tanti piccoli monumenti all’essenzialità , alla genuinità e alla naturalezza del rock nella sua forma più pesante, costruiti però prestando sempre grande attenzione all’impatto ““ come ben dimostrato dalle rapide e devastanti “My Disaster” e “Two High” ““ e alla forma.
Non sorprende, quindi, che a risaltare maggiormente siano i pezzi con le strutture più complesse, arrangiati in modo tale da amplificare gli effetti di quella “botta” che è da sempre una costante nella musica dei Red Fang.
Gli archi dal sapore mistico di “Fonzi Scheme”, le lente cadenze doom di “Days Collide”, le note drammatiche dell’epica title track e il ritmo solenne di “Unreal Estate”, con quel suo ritornello morbosamente orecchiabile, sono i quattro motivi principali per cui vale assolutamente la pena dedicare più di un ascolto ad “Arrows”, un lavoro solido e convincente.
Photo Credit: James Rexroad