C’è una cosa che è proprio di chiunque (e intendiamo davvero chiunque) faccia parte delle ultime generazioni: la voglia di fare rumore.
Abbiamo un’immensa voglia di farci ascoltare, di urlare, farci notare, riprenderci quella sana insolenza tipica degli anni dell’adolescenza. Dopotutto, viviamo in un periodo incredibilmente confuso, tra collasso ambientale e crisi economiche mondiali che vanno avanti da anni. C’è tanta (giusta) rabbia e altrettanta voglia di sfogarla, nell’incertezza se si possa davvero cambiare una situazione così catastrofica. Nel loro piccolo, gli Inhaler provano già a farlo con “It Won’t Always Be Like This”, il loro attesissimo album di debutto.
Già prima dell’uscita del disco la band di Dublino era riuscita a farsi un nome ““ sì, sappiamo che qualcuno starà già pensando che questo sia stato possibile grazie al fatto che Elijah Hewson sia figlio di Bono. Eppure, se fosse solo l’ennesimo caso di nepotismo, possiamo dire con sicurezza che questi quattro ragazzi irlandesi non avrebbero ottenuto il successo che hanno avuto. Basti vedere i casi di WILLOW o di Miley Cyrus: essere figli d’arte in questi casi non è sicuramente irrilevante, ma quanto sarebbero durati questi artisti se non avessero un briciolo di talento e personalità ? Esattamente, poco più di mezzo secondo.
Il mercato musicale è ormai una giungla sempre più competitiva, in cui devi provare ““ anzi, riuscire ““ ad accaparrarti il numero maggiore di ascoltatori nel minor tempo possibile, e trovare modi sempre più innovativi per tenerteli buoni. Se gli Inhaler sono riusciti a farlo ancora prima di “It Won’t Always Be Like This”, il legame tra Elijah e Bono c’entra poco.
Al massimo c’entra lo stile di Bono, le sue sonorità , il suo timbro vocale: quelle assolutamente sì, la sua influenza è presente in tutto il disco, ma solo in parte. Possiamo ritrovare una buona dose dei Killers, dei The 1975, e in generale di quel buon vecchio indie rock contemporaneo che ci strega tutti da una ventina d’anni a questa parte. “It Won’t Always Be Like This” parte proprio da qui, offrendo una hit indie rock dopo l’altra, perfette per i live sempre più vicini del gruppo (a proposito, sapevate che è prevista anche una data italiana?).
Sono pezzi di riflessioni quotidiana, che vanno dall’esortazione a vivere il mondo come viene, al racconto di un personaggio circondato (e che si circonda) di falsità , per arrivare poi a un pezzo che condanna con ironia la cultura incel ““ e qui, mi duole dirlo, è anche iniziata una polemica su “My King Will Be Kind”, nello specifico sui versi “And she says I’ve got no love / I fucking hate that bitch”. A quanto pare, c’è chi pensa che questo pezzo sia cantato con serietà , come fosse un brano misogino qualsiasi. Se siete tra coloro che la pensano allo stesso modo, non possiamo far altro che invitarvi ad approfondire meglio sia gli Inhaler, sia “It Won’t Always Be Like This”. Vi ricrederete e imparerete anche ad apprezzare meglio della buona musica, non c’è di che.
Possiamo dire che il disco è sognare a occhi aperti di un futuro migliore, ma anche voglia di lottare per un mondo ingiusto, sul punto di crollare ““ solo perchè chi c’è stato prima di noi era incredibilmente egoista, tra l’altro. Nella musica degli Inhaler si riesce a sentire bene che c’è tanta voglia di sfogarsi, di essere liberi, ma anche di non fare nulla e dare priorità alla propria sanità mentale, prima di prendersi cura di quella altrui. C’è però anche un lato più ottimista del disco, che fa effettivamente pensare che ci saranno tempi migliori ““ e anche se non fosse così, la leggerezza di pezzi come “Cheer Up Baby” bastano e avanzano per convincere.
L’unica vera pecca di “It Won’t Always Be Like This” è che, a tratti, si ha l’impressione che i ragazzi siano pesantemente influenzati dai loro artisti di riferimento ““ non che sia un male assoluto, tutti hanno una guida a cui guardare. Il problema è nel momento in cui ciò porta a mettere da parte la propria personalità ““ e abbiamo visto quanto gli Inhaler abbiano una personalità stellare. Deve solo emergere un altro po’, cosa che ci auguriamo vivamente di sentire nei prossimi lavori.
In “Who’s Your Money On? (Plastic House)”, cantano “We’ve got everything to lose And everything to play for”. Non potevano riassumere meglio in una frase la Gen Z, sicuramente. Riusciranno a diventare l’emblema di questa gioventù bruciata ma speranzosa?
Credit Foto: Dan Kenny