L’estetica del non esserci, la filosofia a cui ci sta costringendo la pandemia o chissà , forse proprio i tempi moderni: non essere presenti fisicamente, ma spesso attraverso uno schermo. Anche i musicisti ne hanno patito le conseguenze e si sono attrezzati. C’è chi ha trovato nuovi stimoli, chi si è sentito spiazzato da nuove metodologie di lavoro e chi ne ha colto essenze e sensazioni.
I Film School nella loro nuova fatica sembra proprio che vogliano mettere in musica questa “freddezza” della mancanza del rapporto umano, una sensazione che viene incanalata in 10 esemplari composizioni in bilico tra dream-pop e psichedelia più minimale e meno rumorosa del solito. Forse solo “Superperfection” ci riporta al mondo shoegaze più consono, almeno per quanto riguarda queste chitarre vibranti, poi il resto del disco lavora maggiormente sull’uso dei synth, capaci di infondere proprio atmosfere più dilatate, elettroniche ed ampie, con la rappresentazione in musica di queste emozioni che vengono quasi trattenute, catturate dallo schermo che ci separa e incapaci di ampliarsi e scaldarci il cuore.
La band espone benissimo l’atmosfera dei nostri tempi e guai a giudicarli impassibili e poco empatici osservatori, guai a farsi confondere da una forma canzone sicuramente più elegante, asettica e meno sonica: i Film School sono l’esatto specchio dei nostri tempi, così lisergici e a volte impalpabili, con distacchi emotivi che sembrano assorbiti con facilità ma solo in apparenza. Tutt’altro che facile entrare in questo mood, ma la band di Greg Bertens ci riesce con la consueta bravura. Quello che viene meno è l’impatto melodico in un simile contesto e per noi perfezionisti è un punto in meno.