Non so dire se sia appetibile perpetrare l’ennesimo rituale di espiazione dei mali della società capitalistica, di un’amara e odiata America, del petulante populismo disinformato, temi e voci che potrebbero avere del situazionismo quasi esotico oramai e che da quasi 40 anni Al Jourgensen ci propina con frequenze variabili e con alterni esiti. Non so neanche se sia attraente un suono come quello che esce da questo quindicesimo album in studio dei Ministry, con la stessa identica proposta, mutatis mutandis (un chitarrista nuovo pare), analoga a quella del glorioso “Psalm 69”.
So solo che “Moral Hygiene” è un buon distillato di energia adattato perfettamente ai tempi pandemici in cui viviamo, dove l’architettura hard rock contaminata dai diversi ospiti e dalla ringiovanita band, più che di un ritorno all’industrial che fu, è il migliore veicolo per le profezie di Al, che ritrova in virtù dei tempi, la centralità del suo messaggio, con un suono pulito, un amalgama fra le canzoni non banale dopo tanti anni in pista, come se la carriera umorale del gruppo losangelino fosse ora ad uno dei suoi apici.
Si sente che Jourgensen è in un momento buono anche dalla sorpresa dell’inserimento della cover di “Search and destroy”, una sfida non banale, certo nelle corde della band, una specie di riconoscimento ad un progenitore musicale, ma eseguita proprio nel modo in cui i Ministry sono ora, in linea coi gusti dei tempi e con l’età , quindi non tiratissima ma neanche col freno a mano, semplicemente rallentata all’interno della struttura tipica delle loro canzoni, voce filtrata cadaverica, riffone su drumming amplificato, vari inserimenti digitali.
Poi, certo, si va anche veloci, splendida “Sabotage is sex” col redivivo Jello Biafra, che fa perfettamente Jello Biafra in un brano tirato e nervoso, perfetto incrocio fra esigenza espressiva e rumorismo metal o la finale “TV song #6”, forse l’unico esempio di derivazione industrial, con la sua marzialità tecnologica, un flusso cosmico di vocals, sfuriate chitarristiche, macchine pulsanti in un vortice finale volto a ricordarci insomma le vestigia di chi sono anche stati i Ministry, dei terroristi sonici ante litteram, con Jourgensen eterno bambino ribelle con le sue invettive verso il mondo e un’umanità sopraffatta che non riconosce più.
Un’ esigenza di igiene morale mai sopita che riempie le corde di un album fresco, inatteso ed ispirato, di gran lunga la cosa migliore uscita nell’ultimo diciamo decennio dalla mente di questo instancabile agitatore, coerenza e schiena dritta, potenza e allergia al conformismo, un pò certo chi lo ama lo segua, ma avercene!