“There’s nothing that terrifies a man more than a woman who appears completely deranged”. (“Non c’è niente che faccia più paura a un uomo di una donna che sembra completamente pazza”). Per parlare del secondo album del progetto solista di Rebecca Taylor (conosciuta ormai come Self Esteem), “Prioritise Pleasure”, forse, possiamo partire proprio da questa frase ““ pronunciata alla fine del brano apripista, “I’m Fine”. Un pezzo lento, potente, che mette da subito in chiaro le intenzioni della cantante, ormai libera da tutto ciò che la legava al progetto “Slow Club” ““ musicalmente e non. Taylor è qui per restare, per dichiarare la sua totale indipendenza, il suo potere, la volontà di vivere la propria vita come preferisce. Si spiega così anche quell’abbaiare, quel verso ululato di “I’m Fine”: l’ex volto degli Slow Club è ormai slegata da ogni vincolo, non ha paura di mostrarsi in tutta la sua pazzia, in ogni aspetto del suo percorso di miglioramento di sè ““ e se qualcuno è spaventato da questa nuova, sfacciata Rebecca, peggio per loro: lei non può di certo limitarsi solo perchè qualcun altro si sente minacciato dal suo benessere.
Come suggerisce il titolo, la priorità della sua arte al momento è se stessa, mettere prima di tutto i propri bisogni e i propri desideri ““ in precedenza trascurati da lei in primis, dalla società e dagli uomini della sua vita poi. “Prioritise Pleasure” è un album che vuole imporsi sulla scena, è sensuale, forte e di facile ascolto allo stesso tempo. Non c’è la minima paura di osare e andare oltre quei limiti che invece erano necessariamente presenti nel mondo indie pop Slow Club. A differenza di altri progetti, però, il mondo di Self Esteem non è tutto rosa e fiori, anzi: sa fin troppo quali sono le difficoltà che una donna nel mondo dello spettacolo riscontra nella vita di ogni giorno, riconosce i suoi errori, le sue debolezze, e sa che forse sono proprio questi i suoi veri punti di forza. Un esempio perfetto è dato da uno dei pezzi più forti dell’album, “Fucking Wizardry”. è un brano carico di emotività , che lascia intravedere come sia perfettamente normale provare sentimenti convenzionalmente negativi come la gelosia e il rancore, e soprattutto quanto sia importante parlarne. Dopotutto, se tutti fingessero che questo lato oscuro è totalmente assente, non esisterebbe a prescindere la possibilità di crescere e migliorarsi, anzi ““ l’ipocrisia farebbe da padrona, portando alla rovina molte più situazioni di quanto si possa credere.
è normale avere paura, provare rabbia, o essere lunatici come la Taylor in “Moody”: effettivamente, com’è possibile non impazzire, prima o poi, in un mondo che sembra far di tutto per ridurci a questo stato? Parlando di quest’ultimo pezzo, non è esagerato dire che è una chicca pop che non andrebbe per niente trascurata ““ anzi, sorprende vedere come Self Esteem non sia esplosa nel panorama pop dopo un album del genere, che unisce Christina Aguilera e Kate Bush con una punta della più recente Beyoncè. Non sarà l’album dell’anno, ma ha una sua dignità che sicuramente non passa inosservata: come già anticipato nel disco possiamo sentire tipiche hit da diva pop, ballad strappalacrime (come “John Elton”), omaggi a Baz Luhrmann (“I Do This All the Time”) e un range di emozioni esposte in maniera sincera, anche attraverso la scrittura ironica e concisa dell’artista. Che poi questo album piaccia o meno (dato che non è esattamente quel pop mainstream che ascolterebbe chiunque), a Self Esteem sicuramente non può importare di meno: ha superato le aspettative, osando e creando un vero e proprio decalogo (tredicalogo?) dell’amore per se stessi. Chapeau.