Che uno dei gruppi pop più amati al mondo tornasse dopo ben quarant’anni di assenza dal panorama musicale non se lo aspettava nessuno ““ anzi. A partire dall’annuncio di “Voyage”, a quanto pare il definitivo addio degli ABBA, l’hype non ha fatto che aumentare; le aspettative, al contrario, non sono state particolarmente alte (e forse è meglio così). Dopotutto, già sperare in un ritorno del gruppo sembrava troppo pretenzioso; come credere che si potessero superare dischi iconici come “Voulez-Vous”? Purtroppo o per fortuna, però, “Voyage” sembra solo un album qualunque degli ABBA, nato probabilmente solo per evitare l’ennesima (nonchè stancante) raccolta delle hit più popolari. Ma spieghiamoci meglio.
Il quartetto svedese non sembra cambiato di una virgola, ha dato ai fan storici esattamente ciò che volevano (o quantomeno si aspettavano) da un gruppo come il loro. Non c’è stata nessuna intenzione di lasciarsi andare a compromessi di alcun tipo ““ a cui sempre più artisti sembrano invece voler ricorrere, proprio per attirare e accontentare un pubblico giovane che probabilmente non ha mai neanche visto “Mamma mia!””.
Viste le premesse, considerando poi l’intera discografia del gruppo, è inevitabile pensare che tracce come “Keep An Eye on Dan” siano un’estensione di “Super Trouper” o di “The Album”. “Voyage” riprende l’anima più melodica del gruppo, sulla scia dei toni malinconici e solenni di “The Winner Takes It All”; è una rimpatriata tra amici in cui si rivivono ricordi, di rimpianti, speranze infrante e occasioni sprecate. Ci si chiede se le cose sarebbero potute andare in maniera diversa, si ride sui momenti imbarazzanti passati insieme e ci si scambia quel tipico sguardo di intesa, che fa intuire che nulla è cambiato negli anni. Esattamente ciò che è successo tra i quattro svedesi più amati al mondo, insomma.
Canti natalizi, ballad di coppie ormai divise ma unite dall’amore filiale, pezzi folk che sanno di nostalgia. “Voyage” è questo, nulla di più, nulla di meno. Che sia un disco bello o brutto, tocca deciderlo in base al pubblico di riferimento: per chi li ha sempre amati, è cresciuto con la loro musica e moriva dalla voglia di avere un aggiornamento di qualunque tipo sul gruppo, è un bel disco. Anzi, ottimo, eccellente. Non il più adatto a ballare nè il lavoro più degno di nota che abbiano mai creato, ma per i più nostalgici è sicuramente il disco dei sogni.
E per chi le aspettative se le era create, e ce le aveva pure alte? Abbastanza deludente. Nessuno ha mai preteso che ci fossero particolari evoluzioni stilistiche ““ anzi. Meglio rimanere sul classico e offrire lo stesso repertorio in loop, piuttosto che riproporsi in chiave più moderna con pezzi studiati per sfondare su TikTok.
Se da un lato questo ritorno è così studiato a tavolino da sembrare finto, dall’altro ci chiediamo: come ci saremmo aspettati altrimenti la fine di un gruppo di tale impatto, che ha accompagnato generazioni intere? “Voyage”, come suggerisce il titolo stesso, racchiude un percorso lungo mezzo secolo, conclude un capitolo nell’unico modo in cui era possibile farlo: proporre un disco che appositamente non proponesse nulla di nuovo. Con una punta di inconfondibile, tremenda nostalgia. Un po’ come quando chiudi una relazione in maniera serena, in un certo senso: non ci sono particolari rimpianti nè rimorsi, ma è inevitabile provare una tristezza immensa in un momento del genere.
Nessuno di noi forse sapeva davvero cosa aspettarsi dal tanto sorprendente quanto (purtroppo o per fortuna) banale nuovo, ultimo disco degli ABBA. Nel bene o nel male, una verità resta assoluta: piuttosto che rovinare anni di carriera con finali discutibili (come invece solo certe serie tv hanno saputo fare…), sono stati abbastanza saggi da non combinare disastri. E anche per questo si confermano uno dei gruppi più influenti nella storia di tutto il pop contemporaneo: no doubt about it.
Credit Foto: Baillie Walsh