#10) BUMMER
Dead Horse
[Thrill Jockey Records]

Questo trio di Kansas City sa come colpire gli ascoltatori. In senso letterale, perchè gli undici brani di “Dead Horse” feriscono come macigni che piovono dal cielo plumbeo del noise rock più abrasivo e metallico. L’album non supera la mezz’ora di durata ma ha un impatto devastante. La musica marcia e furiosa di Matt Perrin e soci gronda nichilismo e black humor da tutti i pori: la colonna sonora ideale per questo disgraziatissimo 2021. Non me ne voglia il Boss se consiglio a tutti di andarsi a recuperare la devastante “I Want To Punch Bruce Springsteen In The Dick”.

#9) STEVEN WILSON
The Future Bites
[Caroline Records]
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Un album di rottura con il passato per Steven Wilson, arrivato pochi mesi prima dell’annuncio dell’attesissima reunion dei Porcupine Tree. In questa opera progressive pop tanto raffinata quanto intelligente, l’artista britannico denuncia gli effetti nefasti delle dipendenze tecnologiche nella società  dei consumi in irreversibile declino. Con l’approccio colto di conosce a menadito la materia, Wilson non stravolge le strutture classiche della musica leggera ma le espande, in modo tale da riuscire a contenere tutti gli elementi sonori necessari per immergere l’ascoltatore in un mondo freddo, buio, desolante ma non per questo privo di ironia o vitalità . Da non perdere l’epica “Personal Shopper”: un avvincente viaggio di dieci minuti lungo i sentieri più tenebrosi del dance rock, stretta nella morsa della tensione nonostante il rassicurante falsetto di Wilson e la voce narrante dell’ospite di lusso ““ sir  Elton John ““ nel bridge.

#8) ROB ZOMBIE
The Lunar Injection Kool Aid Eclipse Conspiracy
[Nuclear Blast]
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Con le diciassette tracce di “The Lunar Injection Kool Aid Eclipse Conspiracy”, Rob Zombie spezza un silenzio discografico durato quasi cinque anni. Sembra passata una vita, ma nulla o quasi è cambiato nel raccapricciante mondo psichedelico dello shock rocker statunitense. Il suo continua a essere un alternative metal dall’identità  mutante, che scorre via tra atmosfere truculente e discrete dosi di ironia. Delle sonorità  industrial alla base dei primi lavori da solista non resta molto, ma forse è meglio così: l’ex White Zombie sembra perfettamente a suo agio in questa opera cinematografica priva di immagini. Un B-movie folle, violento e colorato da gustarsi tutto d’un fiato. “The Triumph Of King Freak (A Crypt Of Preservation And Superstition)” e “Crow Killer Blues” sono due brani clamorosi.

#7) GOJIRA
Fortitude
[Roadrunner]

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Magari non sarà  ricordata come una delle pagine migliori nella discografia dei Gojira, ma l’avvincente combinazione tra death, groove e progressive metal alla base di “Fortitude” è sicuramente degna di attenzione e di lodi. Il sound della band francese, a fronte di qualche piccolo compromesso per venire incontro ai gusti di un pubblico sempre più vasto, resta comunque intenso, variegato e originale. Un applauso per la scelta dei temi trattati nei testi: spiccano la tutela dell’ambiente, il tramonto della società  occidentale (“Sphinx”), la difesa delle minoranze (“The Chant”, un mantra elettrico a metà  strada tra l’hard rock e i canti dei nativi americani) e il disastro climatico e sanitario attualmente in corso, per la cui soluzione non resta che sperare nella scoperta di un altro pianeta abitabile sul quale trasferirsi (“Another World”). Un interessantissimo esempio di metal impegnato che lascia letteralmente a bocca aperta con la conclusiva “Grind”, una delle mie tracce preferite del 2021.

#6) JEFF ROSENSTOCK
SKA DREAM
[Specialist Subject Records]
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Jeff Rosenstock è tornato all’antica passione per lo ska punk con questa esplosiva nuova versione di “NO DREAM”, ultimo lavoro di studio uscito nel maggio 2020. Che dire? Un piccolo scherzo nato tra amici si è trasformato in un microcosmo offbeat in cui a dominare sono le chitarre in levare, i ritmi scoppiettanti, i suoni freschi e le atmosfere estive, con leggere ombre malinconiche a infondere un tenue ma percepibile retrogusto amarognolo che non infastidisce proprio per nulla. Impossibile non esaltarsi con un pezzo stratosferico come “Ohio Porkpie”: sei minuti di pura, incontenibile gioia che sprizzano ottimismo e voglia di vivere da tutti i pori.

#5) DOT ALLISON
Heart-Shaped Scars
[SA Recordings]
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Dopo un silenzio durato la bellezza di dodici anni, nel 2021 è tornata a farsi sentire Dot Allison. Nel quarto album  solista della cantautrice edimburghese, in passato voce del trio trip hop One Dove, si rincorrono suoni e immagini che evocano il trascorrere delle stagioni, la ciclicità  della vita, la fertilità , i paesaggi idilliaci della Scozia e la flora caratteristica dell’estremo nord britannico. Folk etereo, fragile e dal gusto celtico per un disco dai toni così morbidi e leggeri da riuscire a sfiorare nuovi vertici di delicatezza. Le melodie celestiali di brani come “Long Exposure”, “Can You Hear Nature Sing?”, “Cue The Tears”, “Goodbye” e “One Love” sanno realmente toccare le corde del cuore. Le mie descrizioni sono patetiche ma la musica genuina e “naturale” di Dot Allison, fortunatamente, non lo è in alcun modo.

#4) QUICKSAND
Distant Populations
[Epitaph]
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è un urlo di rabbia contro l’iperconnessione e i suoi nefasti effetti sulle relazioni umane quello che viene lanciato dai  Quicksand negli undici brani di “Distant Populations”. Il disco segna un parziale dietrofront rispetto ai recenti tentativi di allontanarsi dal campo del post-hardcore duro e puro: Walter Schreifels e compagni sembrano aver riscoperto l’antico furore di “Slip” e “Manic Compression”, macinando riff su riff da gustarsi al massimo del volume. L’album ha mille sfumature ma la parola d’ordine è sempre e soltanto una: impatto. Da non perdere “Katakana” e “EMDR” – per non parlare poi della fenomenale “Inversion”, che è la mia canzone preferita del 2021.

#3) DURAN DURAN
Future Past
[Tape Modern / BMG]
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Magari sono io che non capisco nulla, ma a me questo disco a dir poco divisivo è piaciuto davvero molto. Le dodici tracce di “Future Past”, il quindicesimo album realizzato dai Duran Duran, sono il frutto del lavoro di quattro sessantenni che continuano a produrre musica pop mettendoci la passione, il coraggio e la curiosità  che di norma siamo abituati a cogliere nelle migliori uscite firmate da giovani esordienti di talento. Un lavoro tutto improntato all’elettronica che convince immediatamente con l’apripista “Invisible”, uno dei singoli più atipici ed emozionanti nella lunga storia degli ex Fab Five: una canzone gelida e malinconica incentrata sul concetto di solitudine. Fondamentale il supporto di collaboratori di enorme prestigio (Mark Ronson, Giorgio Moroder e Graham Coxon  tra i tanti).

#2) TURNSTILE
Glow On
[Roadrunner]

Veramente una bellissima sorpresa questo terzo album targato Turnstile. Un lavoro fresco e innovativo che rimescola le carte sul tavolo dell’hardcore punk inteso nella sua forma più fluida, mutante e contaminata. Le sfumature pop donano a queste quindici tracce un dinamismo e un’elasticità  ai limiti del prodigioso. Sul piatto i sapori elettronici di “Mystery”, le ombre post-punk di “Underwater Boi” e i ritmi latini a metà  strada tra pista da ballo e headbanging di “Blackout” e “Don’t Play”. Preziosa l’ospitata di Blood Orange, che a tratti infonde all’opera un sorprendente respiro R&B.

#1) FINE BEFORE YOU CAME
Forme complesse
[Legno]
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Sbucato fuori quasi dal nulla in uno dei periodi più bui di questa terribile e sfibrante emergenza pandemica, “Forme complesse” dei Fine Before You Came è la perfetta fotografia dei nostri disgraziatissimi tempi. Il post-rock dalle venature emo e slowcore della band milanese non è mai stato così spoglio, crudo, intimo e commovente. Non c’è vera rabbia, ma solo tanta vulnerabilità : questo disco sembra essere stato scritto apposta per venir suonato in un locale vuoto, in cui domina un senso di quiete che sa di irrequietudine. Ascoltare le sette tracce di “Forme complesse” significa cedere a un dolore catartico che, a suo modo, riesce anche a essere rinfrancante: Jacopo Lietti, con i suoi testi e la sua voce costantemente rotta dalle emozioni, ti fa sentire meno solo. Un album di grande umanità  che avrebbe meritato maggior attenzione, anche perchè al suo interno troviamo delle canzoni davvero bellissime (“Acquaghiaccia”, “Piano Impreciso” e la favolosa “Cogoleto”, per me un piccolo capolavoro). Un colpo al cuore, ma ne vale la pena.