Guarda le posizioni dalla 50^ alla 26^ de I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2021
#25) BALTHAZAR
Sand
[Play It Again Sam]
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Proseguio dell’acclamato “Fever”, questo lavoro può essere annoverato come completamento di quel nuovo stile che la band belga ha intrapreso negli ultimi anni e che piace veramente, ma veramente tanto. L’album alt-pop dell’anno è sicuramente il loro perchè cazzo non ne sbagliano mai una.
( Gianluca Quadri )
#24) JAPANESE BREAKFAST
Jubilee
[Dead Oceans]
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Il terzo album di Japanese Breakfast è una delle sorprese più piacevoli di questo 2021: “Be Sweet” potrebbe essere un classico synthpop anni “’80, l’indie danzante di “Slide Tackle” racchiude in sè il meglio del pop sofisticato di quegli anni. La cura negli arrangiamenti si scosta dalla produzione lo-fi di “Psychopomp” e segna un ulteriore passo avanti rispetto al già buono “Soft Sounds from Another Planet“. Le atmosfere rarefatte trattengono il lato dreamy che l’hanno fatta conoscere. Dalla dolce e birichina Michelle Zauner ci attendiamo adesso il salto di qualità decisivo.
( And Back Crash )
#23) BLACK MIDI
Cavalcade
[Rough Trade]
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Dopo l’incubo dissonante di “Schlagenheim” (2019), i black midi spiazzano tutti con questa confusionaria raccolta di noise-jazz, math-rock e progressive d’avanguardia, non dissimile da ciò che tentarono di fare ormai più di trent’anni fa i Blind Idiot God. Album particolarmente divisivo, è però una manna per definire ulteriormente, almeno come attitudine all’innovazione e alla commistione, quel “neo-post-punk” che sta fiorendo oltremanica.
( And Back Crash )
#22) VIAGRA BOYS
Welfare Jazz
[Year0001]
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Possiamo essere prevedibili se non abbiamo i nostri sentimenti, se non ci poniamo dei veri obiettivi. Vi stiamo dicendo che sentimenti ed obiettivi sono una perdita di tempo? Ma poi qual è il risultato raggiunto? Un mondo vuoto nel quale siamo circondati da sostanze tossiche, informazioni false, monumenti alla misoginia, al machismo, alla auto-celebrazione e alla strafottenza assoluta che, da un momento all’altro, ci crolleranno inevitabilmente addosso, mostrandoci quanto siamo fragili e soprattutto quanto siamo stupidi.
( Michele Brigante Sanseverino )
#21) NICK CAVE, WARREN ELLIS
Carnage
[Goliath Records]
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La solitudine del mondo
Il nuovo lavoro in studio di Re Inchiostro e del suo barbuto e geniale sodale (senza i Bad Seeds), in continuità con l’approccio etereo dei recenti album.
( Luca Dustman Morello )
#20) FINE BEFORE YOU CAME
Forme complesse
[Legno]
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Sbucato fuori quasi dal nulla in uno dei periodi più bui di questa terribile e sfibrante emergenza pandemica, “Forme complesse” dei Fine Before You Came è la perfetta fotografia dei nostri disgraziatissimi tempi. Il post-rock dalle venature emo e slowcore della band milanese non è mai stato così spoglio, crudo, intimo e commovente. Non c’è vera rabbia, ma solo tanta vulnerabilità : questo disco sembra essere stato scritto apposta per venir suonato in un locale vuoto, in cui domina un senso di quiete che sa di irrequietudine. Ascoltare le sette tracce di “Forme complesse” significa cedere a un dolore catartico che, a suo modo, riesce anche a essere rinfrancante: Jacopo Lietti, con i suoi testi e la sua voce costantemente rotta dalle emozioni, ti fa sentire meno solo. Un album di grande umanità che avrebbe meritato maggior attenzione, anche perchè al suo interno troviamo delle canzoni davvero bellissime (“Acquaghiaccia”, “Piano Impreciso” e la favolosa “Cogoleto”, per me un piccolo capolavoro). Un colpo al cuore, ma ne vale la pena.
( Giuseppe Loris Ienco )
#19) LITTLE SIMZ
Sometimes I Might Be An Introvert
[AGE 101 MUSIC]
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Esattamente ciò che Little Simz è riuscita a fare alla perfezione in questo disco, superando ogni possibile aspettativa che si era venuta a creare su di lei. Resta una sola domanda, a cui per il momento non possiamo proprio dare una risposta: è possibile superare un lavoro del genere, dopo aver osato in tutto e per tutto? Finora Simz è stata in grado solo di stupire, quindi ci auguriamo che riesca a tenere in alto il titolo di regina del rap inglese ancora a lungo ““ perchè finora, visto il resto del panorama, possiamo tranquillamente dire che il titolo le spetta tutto e di diritto.
( Dimitra Gurduiala )
#18) JUNGLE
Loving in Stereo
[Awal]
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Non si poteva mettere un album come quello dei Jungle se non nella top 3 di quest’anno. Come ci fanno ballare loro, nessuno. Ed è proprio quello lo spirito di questo nuovo lavoro del duo inglese: farci ballare nell’estate 2021. Ci saranno riusciti? A mio parere sì, perchè un pezzo come “Fire” non si scorda facilmente.
( Gianluca Quadri )
#17) MOGWAI
As The Love Continues
[Rock Action]
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Facciamo la recensione al contrario, cominciando da come concluderei l’estratto: e l’amore per la band scozzese continua, anche dopo questo ennesimo capolavoro. A prescindere dal verso in cui vogliamo vedere la cosa, il risultato non cambia. Sono più di 25 anni (e 10 album) che i Mogwai ci sorprendono con il loro stile controcorrente, post-rock, noise-rock, sperimentale. Persino inserire un brano interamente cantato con tanto di verse-chorus-verse (Ritchie Sacramento) sembra rivoluzionario. Gli inserti di moog, essenze kraut e tocchi di Bowie rendono estremamente familiare questo disco, accomodandoci nella nostra comfort zone.
Confortevole.
( Bruno De Rivo )
#16) DAMON ALBARN
The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows
[Transgressive]
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Se si ricorda “Everyday Robots” per il suo caldo minimalismo, allora il seguito verrà ricordato per le sue intense e dilatate atmosfere. Qui vengono evocati paesaggi sonori di ampio respiro che accolgono elementi ambient, jazz ed elettronici.
Stavolta ci son capitati biglietti di sola andata per un’odissea nordica intrisa di vibrazioni catartiche e caliginose al contempo ““ permeata da una sensibilità per la natura che oggi è necessario trasmettere come mai prima d’ora.
( Federico Tricarico )
#15) SAM FENDER
Seventeen Going Under
[Polydor]
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La storia della musica è piena di cantanti che sono riusciti a inanellare un ampio successo all’altezza del debutto, ma un adagio dice che il difficile viene dopo, quando si tratta di confermare certi livelli e dare un seguito alle fragorose premesse iniziali. Ecco, per il protagonista della mia top ten annuale, lo scoglio del sophomore non solo è stato superato in scioltezza ma di fatto lo ha imposto come una delle migliori realtà di un’epoca che appare al momento povera di interpreti in grado di rappresentarla al meglio. Sam Fender a mio avviso possiede quel quid in più rispetto ad altri epigoni affacciatisi nella seconda metà degli anni dieci: “Seventeen Going Under” evidenzia lo stato di grazia del suo giovane autore e una vera urgenza creativa che viene incanalata in brani dall’ampio respiro, rock più nell’approccio che nei contenuti.
( Gianni Gardon )
#14) ANNA B SAVAGE
A Common Turn
[City Slang]
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Amo gli esordi, sia quando l’artista è ancora acerbo sia quando si presenta già maturo, Anna B Savage sembra una veterana e si presenta con un album perfetto.
Le qualità vocali le conoscevamo ma questo lavoro è scintillante sia sul lato compositivo che su quello realizzativo, prodotto e arrangiato in maniera magistrale per l’artista più promettente dell’anno.
( Fabrizio Siliquini )
#13) IDLES
CRAWLER
[Partisan]
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Il viaggio emotivo attraverso le nostre vulnerabilità , ma anche attraverso i nostri coraggiosi, anche se rari, atti di rifiuto, di coraggio e di ribellione contro il sistema, un viaggio che ha messo in evidenza tutti gli odiosi clichè e i meschini luoghi comuni con cui tentiamo di giustificare i nostri comportamenti e le nostre scelte, ora, giunge, finalmente, a conclusione: il mostro egoista e individualista è uscito allo scoperto e ora non ci resta che farlo a pezzi, liberandoci da tutte quelle tossiche dipendenze che alterano le nostre percezioni, rendendoci schiavi di qualcuno o di qualcosa che non fa altro che consumarci e rovinarci la vita.
( Michele Brigante Sanseverino )
#12) WHITE FLOWERS
Day By Day
[Tough Love]
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E’ un mondo oscuro ed etereo quello della band, come se la nostra realtà fosse diventata quella surreale di Twin Peaks e la nostra colonna sonora uscisse perennemente dal Roadhouse.
( Corrado Frasca )
#11) FLOATING POINTS PHAROAH SANDERS
Promises
[Luaka Bop]
Nove movimenti di promesse mantenute, distanti dalle previsioni iniziali sugli esiti della collaborazione fra Shepherd e Sanders, che si rifugiano in un minimalismo ideale, perfetto punto d’incontro fra la ricerca analogica del dj inglese che in questa dimensione rarefatta trova la potenza nella cura del dettaglio, e dall’altra parte il sax della leggenda jazz, a cui bastano poche note per donare il tocco denso di spiritualità e magia all’album. Un disco esperienzale, che può trovare pace e sede imprescindibile nei nostri momenti più riflessivi.
( Gianni Merlin )
#10) CASSANDRA JENKINS
An Overview on Phenomenal Nature
[Ba Da Bing Records]
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Si può dire che il disco sia un ruscellare di panorami ““ immersivi, fluttuanti e pieni di dettagli da scrutare per bene ““ dal raffinato gusto folk glam; in cui affiorano sinuosi sassofoni jazz, chitarre celesti, archi eccelsi e un synth di grande gusto estetico.
Un cammino intenso, privo di passi falsi e che ““ sino all’ultima nota ““ non farà a meno del proprio balsamo avvolgente.
( Federico Tricarico )
#9) SQUID
Bright Green Field
[Warp]
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Altro esordio interessante quello dei ragazzi di Brighton capaci di mettere insieme post punk rabbioso e momenti quasi melodici, impertinenza e Talking Heads con istinto e razionalità . Convincenti quando alzano il ritmo e anche quando lo abbassano confermano di essere una delle band britanniche della nuova leva da seguire attentamente
( Valentina Natale )
#8) ARLO PARKS
Collapsed in Sunbeams
[Transgressive Records]
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Sembra troppo bello per essere vero: una ventenne di Londra scrive qualche canzone nella sua cameretta, incontra un produttore, realizza il disco di debutto e va dritta a vincere il Mercury Prize. Eppure bisognerebbe essere davvero cinici per non commuoversi almeno un po’ davanti a queste storie scritte con empatia e attenzione ai dettagli, per non battere il tempo sul pop dalle sfumature R&B che permea “Collapsed in Sunbeams” e lo rende un disco che si può riascoltare all’infinito senza mai stancarsi. Un piccolo classico.
( Francesco Negri )
#7) GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR
G_d’s Pee AT STATE’S END!
[Constellation Records]
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C’era una volta una band chiamata Pink Floyd, che aveva il riconoscimento incondizionato della loro grandezza che li elevava e poneva in una condizione unica, al di fuori della concezione comune di musica popolare.
I Pink Floyd concedevano comunque spazi all’ascoltare che permetteva alla loro musica una fruizione mainstream e apprezzamenti trasversali, oggi abbiamo i I Godspeed You! Black Emperor che questa concessione non la offrono ne musicalmente ne concettualmente, perchè la definizione del concetto è politicamente disturbante ed estrema come la loro musica che emoziona, brucia e ti riduce in cenere.
“G_d’s Pee AT STATE’S END!” è il capolavoro dell’anno.
( Fabrizio Siliquini )
#6) ARAB STRAP
As Days Get Dark
[Rock Action]
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Fottersene del passato
Dopo più di tre lustri torna il duo scozzese, con undici nuove tracce a tinte noir.
( Luca Dustman Morello )
#5) THE WEATHER STATION
Ignorance
[Fat Possum]
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Per la serie come ridare dignità a una parola negativa. “Ignorance” nuovo album di Tamara Lindeman è un disco intelligente, ben arrangiato, vario nello stile ma mai musicalmente arrogante. Non più folk e non ancora jazz, semplicemente aggraziato e vivace con punte di malinconia che favoriscono ascolti multipli. Un momento di svolta per l’artista canadese.
( Valentina Natale )
#4) IOSONOUNCANE
Ira
[Trovarobato]
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Era tanta l’attesa per il ritorno sulle scene di Iosonouncane (alias Jacopo Incani), alla luce soprattutto del precedente “Die”, che ne mise in mostra il debordante talento. L’artista sardo si è preso i suoi tempi ma ha saputo ripagare le nostre aspettative con un’opera in grado di alzare il livello della musica italiana tutta, rasentando il capolavoro. Non è un ascolto facile quello di “Ira” e non potrà mai essere un “semplice” sottofondo, perchè inoltrandosi tra 17 episodi così misteriosi, lunari, tanto eterei quanto a tratti disturbanti, ma tutti indubbiamente intriganti, si corre il rischio di perdersi e di ritrovarsi alla fine della corsa frastornati ma pure arricchiti.
( Gianni Gardon )
#3) DRY CLEANING
New Long Leg
[4AD]
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Le nostre città affogano in un grigiore surreale, ma i media preferiscono, sempre più spesso, soffermarsi su un semplice dettaglio e su di esso, isolando dal contesto, costruiscono una versione artefatta, artificiale ed asimmetrica della realtà ; noi, invece, siamo unicamente delle comparse, indossiamo delle maschere, pronunciamo delle battute, facciamo delle scelte e compiamo delle azioni che, ovviamente, erano già state ampiamente previste, studiate, iniettate, senza che ce ne rendessimo conto, nella nostra povera mente.
( Michele Brigante Sanseverino )
#2) BLACK COUNTRY, NEW ROAD
For the First Time
[Ninja Tune]
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Fra tutta la scena inglese uscita in massa allo scoperto nel 2021 (mancherebbero anche Shame e Idles: discreti i primi, in fase involutiva i secondi), il mio disco preferito è quello dei Black Country, New Road. La loro versione si discosta da black midi e Squid per concentrarsi a piene mani sul post-rock dichiaratamente a marca Slint. Sei brevi brani, perlopiù già usciti su singolo, dimostrano da un lato organicità e senso della misura, dall’altro un pizzico di mancanza di coraggio. Ma, signore e signori, che classe!!
( And Back Crash )
#1) LOW
Hey What
[Sub Pop]
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Guardare avanti con grinta è il motto dei Low del 2021. Tredicesimo album in ventisette anni per Alan Sparhawk e Mimi Parker qui nella loro versione più rumorista e rumorosa, epica e spettrale, un mare di suoni in tempesta governati dal fido produttore BJ Burton. “Hey What” ricorda la gelida ferocia contenuta a malapena di certi dischi di Nico, un misto di terrore e dolcezza che scuote e scalda.
( Valentina Natale )
Guarda le posizioni dalla 50^ alla 26^ de I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2021
Credit grafica: Luca Morello (Scismatica)