La caratteristica e caratterizzante voce di Ben Bridwell, che innesta in ogni singola nota l’ampiezza delle melodie della band di Seattle (oggi di stanza nella Carolina del Sud), ci accoglie con una sorta di playlist condita di successi sin dall’incredibile e potente opener “Warning Signs” – di sicuro uno dei migliori brani del disco – fino alla closing track “Coalinga”. In realtà , non è una raccolta di hits del collettivo made in USA ma il loro nuovo lavoro che arriva, a cinque anni dal buon “Why Are You OK” ed a ben sedici dal loro mirabolante debutto “Everything All the Time”, album della celebre “The Funeral”.
Le “cose sono grandiose” davvero in questo “Things Are Great”, sesta fatica sulla lunga distanza, nonostante la travagliata genesi che ha visto lo spostamento della data d’uscita dell’album causa covid e, soprattutto, un cambio di line-up che vede ora il supporto di Matt Gentling e Ian Monroe, rispettivamente al basso e alla chitarra, a fianco del trio formato da Bridwell, Rob Hampton e Creighton Barrett, dopo le importanti defezioni di Bil Reynold e Tyler Ramsey.
Seguire lo snocciolarsi della track list ed accorgersi che i punti deboli son davvero pochi è certamente un gran sollievo, soprattutto per i fan della band che auspicavano, forse proprio dopo i lavori recenti, un ritorno al sound delle origini. Ebbene, tutti contenti perchè il leit motiv che regge il full-length è senz’altro conosciuto e si adagia su melodie dall’approccio brioso ma allo stesso tempo risoluto e completo nel quale, accanto a episodi ricercati ed appassionati udibili nelle note fiabesche di “Tragedy of the Commons” oppure nell’eterea “Aftermath” – che sprigiona timide pillole di shoegaze – o nel incalzante folk-rock di “You Are Nice To Me”, trovano spazio brani impossibili da scrollarsi di dosso per quanto earworm, rinvenibili nel trittico dei singoli composto da “In Need of Repair”, “Lights” e, sopra a tutti, dall’inno “Crutch”.
Ascoltando l’album, dunque, si resta ammaliati per l’armonia che intreccia ogni brano e che vede la mano, in pratica, di un solo protagonista, un Ben Bridwell in versione deus ex machina il quale si è preoccupato di produrre o co-produrre ogni canzone dell’album, circostanza che si ripercuote anche nella stesura dei lyrics, di stampo personale, intimo e sincero.
Inoltre, per far si che “Things Are Great” fosse ricordato come uno tra dei migliori album della band, Bridwell ha riunito intorno a sè storici collaboratori e amici tra cui Jason Lytle di Grandaddy (già visto alla regia di “Why Are You Ok”), Dave Fridmann (Mercury Rev, The Flaming Lips, Mogwai, Interpol) e Dave Sardy (Oasis, Catfish and the Bottlemen, Noel Gallagher’s High Flying Birds, Fall Out Boy), seguiti dall’engineer Wolfgang Zimmerman (aka “Wolf” o “Wolfie”) – fondatore dello studio di registrazione The Space nell’Upper King di Charleston – che ha contribuito fattivamente a dare quella netta impronta di naturalezza e passionalità al lavoro.
Degno di menzione il folk-blues di “In The Hard Times” e la psichedelica ballata “You Are Nice To Me” che precede il calar del sipario sulla delicata melodia di “Coalinga” proprio sulle note di “Things are great, yeah, things are great”.
Il citato esordio “Everything All the Time” e il successivo “Cease To Begin” del 2007 restano capolavori assoluti, ma questo “Things Are Great” illumina l’universo della band di Seattle con un nuovo corso che, partendo dalle origini, regala ancora una volta della grande musica.