Chitarre rozze si riverberano in un hard rock senza orpelli dal quale fuoriescono undici tracce piene di avvolgenti e impetuosi riff. Le ambientazioni psichedeliche dell’esordio contenute in “Dreamtime” e le influenze new-wave di matrice gothic racchiuse nel capolavoro “Love”, hanno trovato una nuova sostanza in quella che, di fatto, ha segnato la definitiva metamorfosi della ditta Astbury/Duffy.

Dopo solo un anno e mezzo circa dal manifesto gotico “Love” dunque, i Cult decidono per un significativo rewind estrapolando il meglio delle session di “Peace” e volano in direzione “Grande Mela” alla corte di un producer navigato come Rick Rubin, ancorchè lo stesso fino a quel momento si era fatto le ossa con l’hip -hop/rap-rock (Beastie Boys, LL Cool J, Public Enemy, Run-DMC), ad eccezion fatta per la parentesi trash metal del terzo l’album degli Slayer, “Reign in Blood”.

Ed ecco quindi che, rimpolpata la line-up con l’aggiunta del batterista Les Warner – che poi venne “licenziato” al termine del tour che ne seguì – l’istrionico Ian Astbury, il virtuoso chitarrista Billy Duffy e il bassista Jamie Stewart infliggono una netta sferzata al sound del “passato” mettendo in piedi una tracklist imbottita di sonorità  hard rock, di tipico stampo seventies, che evocano riff alla Led Zeppelin, AC/DC e affini.

Tra l’altro, durante il tour di “Electric”, dove a fare da supporto ai Cult ci furono nientepopodimeno che i Guns N’ Roses, all’epoca sconosciuti, la compagine britannica si arricchì della collaborazione di Kid Chaos – aka, Kid Haggis o Haggis  – al basso e, dunque, trasferendo Stewart alla chitarra ritmica.

Già  dalle prime incalzanti note di una potente “Wild Flower” ci si rende conto come Ian si trovi a proprio agio nella nuova veste di “rocker” che ancor di più avvolge il plettro di Billy Duffy e la sua naturale vocazione di chitarrista rock; gli assoli fumanti della portentosa “King Contrary Man”, in qualità  di best track, e della successiva “Love Removal Machine” riflettono una prova maestra del mancuniano.

L’intero disco è un concentrato di pure rock, dove trovano spazio declinazioni punk-rock come in “Peace Dog” o in “Electric Ocean” e derive schizofreniche in “Bad Fun” fino alle note blueseggianti di “Lil’ Devil”, un pezzo spaziale, per passare alla elettrizzante e riuscitissima cover di “Born To Be Wild” degli Steppenwolf, per poi chiudere con altri due pezzi di altissimo pregio come “Outlaw” e “Memphis Hip Shake”.

In realtà  non c’è un brano che sovrasta l’altro. Tutti gli episodi si snocciolano in una manciata di minuti da gustare tutto d’un fiato, fino in fondo, dove corposi riff e melodie ruffiane riescono plasticamente a superare ogni ostacolo e sono capaci, ancora oggi, di sbuzzare freschezza e attualità .

Pubblicazione: 6 aprile 1987
Durata: 38:51
Tracce:  11
Genere:   Hard rock, glam metal
Etichetta: Beggars Banquet, Sire
Produttore: Rick Rubin

Tracklist:
1. Wild Flower
2. Peace Dog
3. Lil’ Devil
4. Aphrodisiac Jacket
5. Electric Ocean
6. Bad Fun
7. King Contrary Man
8. Love Removal Machine
9. Born to Be Wild
10. Outlaw
11. Memphis Hip Shake