Con le quattordici tracce di “Heavy Pendulum” inizia ufficialmente la seconda vita dei Cave In. Tre anni dopo il breve e intenso “Final Transmission” – frutto delle ultime sessioni di registrazione in compagnia del bassista e cantante Caleb Scofield, scomparso prematuramente nella primavera 2018 in un terribile incidente stradale ““ la band statunitense torna in pista con un album di ben settanta minuti pubblicato con una nuova label, la storica Relapse Records, e prodotto dall’espertissimo collaboratore di vecchia data Kurt Ballou.
Un lavoro denso e pieno zeppo di idee per riassumere tutte le varie fasi attraversate dal gruppo in una frastagliatissima carriera lunga un quarto di secolo. A sostituire il povero Scofield è Nate Newton, già membro dei Converge, che ben si integra nella realtà multiforme dei rinnovati Cave In.
I quattro del Massachusetts, con la disinvoltura e la sicurezza di chi ha esperienza da vendere, spaziano dal furioso metalcore degli esordi allo space/progressive rock del bellissimo “Jupiter” del 2000, in un discorso musicale dall’ampio respiro che include tracce di post-hardcore, sludge/doom (vedere i riff delle pensatissime “New Reality”, “Blood Spiller” e “Nightmare Eyes”), post-metal (le lunghe e raffinate “Blinded By A Blaze” e “Wavering Angel”), grunge (l’impronta dei Soundgarden è evidente in alcuni passaggi di “Floating Skulls”) e persino folk, seppure in una forma estremamente sporca, distorta e dalle tinte stoner (la polverosa “Reckoning”, scritta e cantata dal chitarrista ritmico Adam McGrath).
A rubare la scena, come quasi sempre accade in casa Cave In, è il talentuoso leader Stephen Brodsky, la cui spiccatissima sensibilità melodica dona ai pezzi di “Heavy Pendulum” un inedito gusto “classico” (che troviamo nei richiami alle vecchie sonorità hard & heavy, in passato quasi del tutto assenti) e una profondità unica, che si manifesta in maniera davvero molto chiara nella costruzione stessa di brani dinamici, articolati ma mai arzigogolati, dominati dal perfetto equilibrio tra innumerevoli e sorprendenti contrasti (le esplosioni di rabbia e le parentesi di quiete, la voce pulita di Brodsky e il growl di Newton, i suoni da dimensione live e le chitarre ultra-effettate”…).
Dopo anni di sfortune e tragedie, quindi, sembra essere finalmente arrivato il momento del riscatto per i Cave In, che con “Heavy Pendulum” hanno realizzato una vera e propria enciclopedia del loro personalissimo sound. Un’opera che si fa amare nonostante la strabordante durata; e non è cosa di poco conto al giorno d’oggi, abituati come siamo ad album o troppo brevi o appesantiti da inutili filler.