Simpatica chiacchierata per i Jesus and Mary Chain con The Telegraph. I fratelloni hanno suonato a Glastonbury lo scorso fine settimana e il frontman Jim Reid ricorda quando la band si esibì per la prima lì, alla fine degli anni ’90: “Stavamo brevemente provando un cambio di immagine e decidemmo di metterci in giacca e cravatta. Siamo arrivati lì ed era un bagno di fango. Camminavamo con queste tute del cavolo e abbiamo dovuto mettere dei sacchetti di plastica ai piedi per andare dall’autobus al palco“.
Nonostante quello che scritto Alan McGee nel suo libro di memorie “Se vincessero alla lotteria, sarebbero di cattivo umore“, Jim Reid sembra essere piuttosto di buonumore nelle interviste, dicendo come in realtà andare ai festival non sia il massimo per lui (“Non mi piace stare in piedi in un posto per ore. Inoltre, mi annoio a guardare troppe band una dopo l’altra“). Non gli piace il modo di fare delle star della musica di oggi: “è come se l’atteggiamento fosse tornato ai tempi del pre-rock’n’roll – i primi anni ’50, quando tutto era saccaroso e insipido. Tutti hanno troppa paura di sconvolgere qualcuno, sia musicalmente che nelle parole. Sembra che il rock’n’roll non sia mai esistito“.
Simpatico il ‘ricordo’ (se così di può dire) di “April Skies” suonata a Top of the Pops: “Mi sono fatto prendere la mano e ho fatto saltare così tanti nasi che è stata la nostra unica e sola esibizione a Top of the Pops“. Ma non manca l’accenno alla gestiuone dei concerti nei tempi d’oro: “Ci sedevamo nel backstage e un promoter nervoso ci diceva: “è meglio che usciate”. Noi rispondevamo: ‘Oh, aspettate un attimo, stiamo solo ascoltando un po’ di musica e bevendo un drink’, e la cosa andava avanti per due ore. Alla fine salivamo sul palco e il pubblico era pronto a fare a pezzi la sala, cosa che a volte accadeva… La musica era alta, sembrava violenta, quindi la gente metteva in atto quella violenza, suppongo“.
Il rapporto fra fratelli è un punto forte nelle dinamiche della band: “Quando abbiamo iniziato, ci capivamo perfettamente. C’erano dei litigi, ma si trattava sempre di musica, sempre costruttiva. Poi, a metà degli anni ’90, la situazione è diventata molto distruttiva. Discutevamo per qualsiasi cosa, con grandi litigi e urla. Ci siamo lasciati, il nostro rapporto si è completamente disintegrato e non ci siamo parlati per alcuni anni. Poi abbiamo finito per tornare insieme. Mia madre mi diceva: “Torni per Natale?” “Non lo so, ci sarà anche William?” “Forse” “Beh, allora non vengo”. Mia madre faceva in modo che arrivassimo a casa nello stesso momento e ci guardassimo con occhiatacce in angoli diversi. Un po’ alla volta ci incontravamo a casa dei miei genitori e andavamo d’accordo per il loro bene. E poi è diventato: è una cosa stupida. Possiamo parlare. E da lì il rapporto è cresciuto“.
Droghe e alcool, un binomio inscindibile, un tempo, ora non più: “Ogni singolo concerto che abbiamo fatto negli anni ’80 e ’90, ero completamente fuori di me. Ogni singolo concerto“. Poi, durante la separazione è arrivato un fatidico live solista che ha segnato Jim Reid: “è stata un’umiliazione pubblica. Non riuscivo a stare in piedi. Cercavo di suonare la mia chitarra ed era tutta stonata e non sapevo cosa fare. Non c’era nemmeno quella cosa per cui ero così ubriaco da non ricordare; ricordo ancora gli sguardi della gente di quello spettacolo” e da li partì la voglia di ripulirsi.
I Jesus & Mary Chain ora hanno un nuovo approccio di fronte ai fan: “Quando avevamo vent’anni, andavamo sul palco e ogni pubblico doveva essere conquistato, ma non sapevamo bene come farlo. Ora, in genere, se sono in piedi davanti a te significa che hanno comprato un sacco di dischi e sono solo felici che tu sia venuto. Ed è una bella sensazione. Ci si sente a proprio agio. Ora si tratta solo di noi che suoniamo quelle canzoni. è quello che sarebbe sempre dovuto essere, ma quando sei giovane non riesci a vedere quello che hai davanti“.
Credit Foto: Paul Hudson from United Kingdom, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons