Ciò che avevo ascoltato in precedenza su disco, non mi aveva preparato all’esperienza vissuta l’altra sera a Villa Ada. I BadBadNotGood, dal vivo, non sono semplicemente l’acclamata band crossover che si destreggia tra nu jazz, hip-hop e quant’altro. Quello a cui ti fanno assistere è un viaggio di una novantina di minuti senza praticamente pause. Di una musica incessante, gioiosa, esplosiva, suonata magistralmente. Chester Hansen è un bassista sempre sopra le righe, di fatto il direttore dell’orchestra, colui che tiene il tutto unito, persino quando si lancia nei suoi assoli. Al Sow tira la volata incessantemente, prendendo continuamente a calci la musica per spingerla in avanti. Potrebbe essere il più grande batterista della sua generazione. E’ lui a interloquire con il pubblico, in modo quasi rappato, coinvolgente. Leland Whitty e Felix Fox sono i sarti che cuciono l’abito musicale che viene consegnato al pubblico. Un prodotto artigianale, fresco, probabilmente sempre un pò diverso ogni sera. Come si conviene al grande jazz, che segue una traccia, ma v’improvvisa sempre sopra.
I canadesi sono delle silhouette, delle ombre che per tutta la durata del concerto si stagliano sullo sfondo delle immagini che illustrano la loro musica. A volte astratte, a volte concrete, a volte le due cose. Man mano che i minuti passano, diventa sempre più difficile stare fermi e non seguire il ritmo incessante dettato dalle band. Come dicevo in apertura, non è come su disco. E’ un altro ritmo, più scatenato, più incessante, più veloce. E’ hip-hop strumentale, ammesso che esista, suonato come fosse jazz. Lascia senza fiato, non ammette distrazioni mentre rimani concentrato su quelle ombre e ne segui i movimenti e solo alla fine di tutto, quando si accendono le luci, potrai guardarli in faccia.
Non ce lo aspettavamo, bisogna dirlo. I due-trecento ragazzi presenti non erano pronti per questa cosa che è successa: i BadBadNotGood hanno espugnato Villa Ada. Hanno suonato una buona metà dell’ultimo disco “Talk Memory” a una velocità doppia, più altre tracce. Quasi non le abbiamo riconosciute e non siamo nemmeno sicuri di cosa abbiamo ascoltato, di quale sia stata la setlist. Ma non importa, siamo usciti con il sorriso, siamo usciti “estasiati”, come commentava una ragazza accanto a me. Siamo usciti convinti e sereni più che mai che amare la musica, senza porsi confini di genere, sia la scelta giusta. Perchè possiamo sempre avere belle sorprese, come questa, una sera a Villa Ada.