Tra poche settimane (tra venerdì 26 e domenica 28 agosto) tra l’ex Fabbrica Incet e lo Spazio 211 si terrà una nuova edizione del TOdays (qui i biglietti). Anche quest’anno il festival torinese si rivela come una delle più importanti realtà italiane e ospiterà artisti nazionali e internazionali di grandissimo valore, partendo da Tash Sultana fino ai Primal Scream, passando per gli Squid, FKJ, i Black Country, New Road, i DIIV, gli Arab Strap, solo per citarne alcuni. Noi abbiamo approfittato dell’avvicinarsi del festival e alcune settimane fa abbiamo scambiato due chiacchiere al telefono con Gianluca Gozzi, il direttore artistico del festival, per farci raccontare qualche dettalio in più sulla situazione attuale, sulle difficoltà passate in questi ultimi anni e tanto altro. Ecco cosa ci ha detto:
Ciao Gianluca, grazie per il tempo che ci stai dedicando. Intanto ti faccio i complimenti sia per il lavoro con il festival, ma anche per quello che fai ormai da un po’ di tempo con lo Spazio 211, che è diventato una bella realtà nel mondo indipendente anche a livello nazionale.Tornando al festival, come sono stati gli ultimi due anni per voi? Lo scorso anno è stato bellissimo poter essere di nuovo lì e godere di quella magica atmosfera: credere in questo progetto anche in un momento così difficile è stato molto duro? Vi ha appagato?
Questi ultimi due anni per me sono stati anni di consolidamento di alcune certezze non sempre positive e di consapevolezze della cultura in generale, che è in crisi non da due anni, ma da trenta. Questi due anni avrebbero potuto essere una svolta, soprattutto per il pubblico, per acquisire una coscienza e una conoscenza più approfondita. Per esempio ci sono state alcune figure ““ penso alle maestranze ““ di cui prima il pubblico più generalista non sembrava essere a conoscenza. Si è scoperto che dietro a uno show esistono tante situazioni, da chi cura gli uffici stampa, la produzione, il facchinaggio, i montaggi delle strutture e tutto il resto. Purtroppo le persone ignoravano e probabilmente ignorano ancora tutto questo. Si è persa un’occasione per fornire alle persone quegli strumenti necessari per far conoscere questo mondo, che non è fatto solo di intrattenimento, ma è un mondo che produce cultura e credo che la cultura abbia molto a che fare con la formazione. Si va al cinema o un concerto per divertirsi ovviamente, ma anche per formarsi, formare le proprie idee, le proprie relazioni. Nel 2020 abbiamo creato questo progetto che si chiamava “Tourdays”: visto che le band non potevano andare in tour, era il festival che andava in tour all’interno delle varie strutture associative della città supportando e mettendo in rete competenze, relazioni e conoscenze per far sì che tutto potesse essere più sostenibile e anche che quelle maestranze di cui parlavo prima potessero mettersi in gioco, magari anche da un punto di vista differente. L’anno scorso è stato difficile: abbiamo dovuto scomporre e ricostruire la line-up parecchie volte a causa di continue cancellazioni dovute alle normative più o meno assurde che comparivano in Italia o in altri paesi. Siamo stati molto soddisfatti di essere stati tra i pochi in Italia che, con la tenacia e la determinazione, sono riusciti a costruire effettivamente un festival che potesse utilizzare la parola internazionale: è stato possibile organizzare un festival con band provenienti dal nord Europa, dall’Inghilterra, dalla Spagna e da altri paesi ““ così come il pubblico ““ alla fine di agosto dello scorso anno e ci ha dato la possibilità di realizzare qualcosa che è andata oltre l’apparente impossibile. In questi due anni, oltre al virus che ormai conosciamo tutti bene, si è diffuso un altro virus molto pericoloso, quello della paura. Le persone sono state disabituate a frequentare certi ambienti e certi contesti e anche soprattutto a pensare alla cultura in una certa maniera, quindi si è un po’ abbassata l’asticella dell’offerta. Ci troviamo nell’estate 2022 dove viviamo il paradosso in cui l’offerta supera la domanda, ciiè ci saranno più cose di quelle che in realtà servono, di quelle a cui si puo’ comunque assistere. E’ un paradosso. Questo fa sì che la situazione sia ancora molto difficile perchè ci sono tante incertezze generali. Si fatica molto a far acquistare alle persone un biglietto per il festival. Il festival non deve essere la copia sbiadita di altre cose che già esistono, ma deve provare a fare cose nuove, deve darti la possibilità di vedere artisti che già conosci, ma anche altri che non hai mai avuto la possibilità di vedere e quindi scopri musica nuova che non necessariamente ti deve piacere. L’obiettivo è proporre una musica che crea una tensione creativa ed emotiva dentro di te. La cosa che abbiamo capito da questi due anni è che la gente torni a casa dicendo: “Wow, è stato come non me l’aspettavo!”.
Grazie, è una risposta che mi è piaciuta molto. Il progetto di quest’anno propone tante cose interessanti e nomi piuttosto variegati che non vanno verso un genere solo, come mi pare sia sempre accaduto al TOdays, che ha sempre spaziato tra diverse sonorità . Come viene fatta la scelta della line-up (ovviamente guardando anche quali band sono in tour nel momento in cui si svolge il festival)?
Ti posso dare due tipi di risposte. Una più romantica che sarebbe pensare a uno staff di persone che ascoltano musica tutto il giorno e cercano di chiamare le loro band preferite perchè pensano che potrebbero cambiare il mondo e che sia una cosa fantastica per il pubblico che improvvisamente scoprirebbe cose nuove e bellissime. In realtà in Italia non c’è una tradizione di festival e la risposta non romantica è che per fare il cartellone devi chiamare chi ti puoi permettere di pagare e chi c’è in tour in quel momento. Ovviamente l’abilità di un festival è quella di mettere insieme le due cose, quindi da un lato fare quello che ci piacerebbe fare, ma dall’altro guardare il presente per come è. Il festival si chiama TOdays non a caso, parla del presente, dell’attuale, cerchiamo di farci piacere le cose come sono e non come vorremmo che fossero e quindi l’abilità sta appunto nel creare un buon equilibrio tra ciò che vorremmo fare e ciò che possiamo fare. E permetterci di fare. Ogni anno cerchiamo di mettere insieme magari leggende o nomi più riconosciuti nella storia della musica degli ultimi anni insieme a nuove scommesse che in altri paesi più evoluti sono già sulle copertine delle riviste o magari nelle classifiche ufficiali, ma questo per noi è un valore aggiunto. Un festival come TOdays, dove l’amministrazione locale investe, non ha il compito di competere con i privati, ma invece vuole fare cultura e scoprire cose nuove sulle quali scommettere e che magari rappresenteranno anche il futuro. Cerchiamo di fare sempre queste due cose. Quest’anno, come dicevi tu poco fa, vogliamo superare i generi: credo che nel 2022 abbia poco senso distinguere la musica in generi musicali, rock, pop, folk, soul, jazz o che altro. La distinguiamo in musica buona e meno buona. Questa è l’unica differenza che ci piace. L’idea è quella di accostare sonorità più ostiche, più estreme, più vicine magari al post-punk con suoni più morbidi. Ci piace creare una narrazione, cioè non buttare a caso dei nomi nel minestrone, ma che abbiano un senso di raccolto. Vedi l’ultima giornata in cui ci sono i Primal Scream, che festeggiano in trentennale di un album come “Screamadelica” che è una pietra miliare della storia della musica e non a caso quella scena scozzese dagli Arab Strap e poi arriva nell’Inghilterra degli Yard Act di oggi, che da lì traggono ispirazione ed esperienza, ricostruendo quel suono che mescola il rock con la dance. Penso anche ai DIIV, che pur essendo in un altro contesto in America, ereditano comunque l’esperienza di band come My Bloody Valentine, The Jesus & Mary Chain e Primal Scream, facendo di quel suono di chitarre soniche, la loro musica. L’idea è quella di creare un racconto che vada oltre alla semplice esibizione.
E credo che sia anche una sfida e qualcosa di bello.
La parola bello secondo me è la parola che dovrebbe essere chiave per il mondo e per il futuro. Dobbiamo pensare alla bellezza, cioè provare a creare cose belle che, come dicevo prima, non necessariamente devono piacere. C’è un’episodio di Joe Strummer nei Clash che suona nel 1978 allo stadio di Wembley di fronte a una platea infinita di persone che lo applaudono e a un certo punto lui ferma la scena e dice: “Io non cerco il vostro applauso, cerco la contestazione, cerco tensione”. E’ quella tensione creativa, è quel disturbo in qualche maniera che ti muove dentro e fa sì che tu non sia semplicemente un consumatore passivo della musica, ma che tu torni a casa cambiato. Quello deve essere l’obiettivo ““ qualche cosa che ti cambia ““ perchè altrimenti diventa semplice intrattenimento, qualche cosa studiato su dei target ben precisi, attraverso i canali social, così sai quale pubblico viene, sai già quali numeri si faranno, sai quale è la tipoligia di pubblico che arriva. Una volta usciti dal concerto, la settimana successiva va a vedere lo stesso concerto nella stessa maniera in un’altra città . Non è questo un festival. Un festival è qualcosa dove capitano e avvengono emozioni diverse, nuove, spesso imprevedibili. Come tutte le cose del mondo a qualcuno cambierà la vita e ad altri non interesserà per nulla, ma la nostra missione è quella.
Avete avuto problemi a portare i Molchat Doma che sono bielorussi?
No. Tra l’altro loro si sono schierati contro la guerra anche sui loro canali social. Tra l’altro hanno anche devoluto i cachet di loro concerti e di presenze ai festival alle popolazioni che stanno più soffrendo ora a causa della guerra. Sono una band assolutamente schierata che fa della musica un linguaggio universale che non mette limiti e confini, ma al contrario li abbatte attraverso la musica. Nella stessa giornata suona anche FKJ che supera i propri limiti fisici di persona unica sul palco, suonando musica celestiale che si apre allargandosi e coinvolgendo. E anche gli Squid, in apertura, superano i limiti; sembrano una piccola orchestra e prendono l’esperienza degli ultimi quaranta anni, scomponendola completamente e reinventandosi, spaziando dal free jazz al noise. Il senso di quella giornata è superare i confini, rispettando sempre le proprie identità .
Per la prossima edizione del festival come sono state le risposte del pubblico finora?
Negli anni TOdays ha cercato di costruire una comunità di riferimento, una fanbase, quindi contiamo molto su questo. Le opinioni sono molto positive e quindi siamo soddisfatti. Ovviamente questo si deve anche tradurre per la soppravivenza di un’esperienza in biglietteria, quindi presenze durante il festival. Come dicevo all’inizio, in questo ambito sono un po’ finiti gli anni in cui si ostentava tutti il sold-out dopo cinque minuti perchè è tutto molto più faticoso, è un lavoro diverso fatto di conquiste e piccoli passi giorno per giorno. Siamo fiduciosi e crediamo che chi verrà passera dei giorni belli.
Posso chiederti quale artista o gruppo, anche del passato o che magari non c’è più, ti piacerebbe venisse a suonare al TOdays, anche solo a livello di fantasia?
Anch’io non sono più giovanissimo e ho iniziato suonando e poi ho ascoltato tantissima musica, quindi sarà una scelta ardua. Devo dire che molti artisti che mi piacciono, soprattutto quelli più piccoli, sono riuscito a vederli. La prima volta che entrai allo Spazio 211, che allora non si chiamava nemmeno così, c’era un manifesto dei Motorpsycho. Allora non sapevo nemmeno chi fossero, ma li cercai subito e mi piacquero e pensai che sarebbe stato bello portarli a Torino: dieci anni dopo o poco più ci sono davvero riuscito. Era giusto un esempio ovviamente. Sono tanti gli artisti che ho sognato di organizzare, da Jack White ai Sonic Youth e tanti altri nomi. Il sogno è di poter portare Nick Cave And The Bad Seeds, ma finora non sono riuscito. Per quanto riguarda artisti non più viventi, sono per la maggior parte artisti sconosciuti, quindi non credo che oggi farebbero molti paganti. Altrimenti mi sarebbe piaciuto portare alcune band nel momento in cui quella musica la facevano veramente, come i Sonics negli anni ’80, anche se sono nati negli anni ’60. Loro si sono riformati qualche anno fa, ma non ho mai avuto il coraggio di andarli a vedere perchè parliamo di persone settantenni che hanno una forza fisica ben diversa , che non è detto che sia peggiore, però sono sempre stato un po’ titubante.
Grazie mille per questa lunga chiacchierata e ci vediamo a Torino ad agosto.
Grazie a te. Ci vediamo al TOdays.