è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor”, di “Iosonouncane meno male che esisti”, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni”, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

MARIA ANTONIETTA, Arrivederci

E’ tornata la regina, e lo ha fatto in grande stile: ovvero, riprendendo le fila da dove le aveva lasciate, che non era mica un punto morto, tutt’altro. Per anni, ho subito come uno shock il silenzio ostinato della cantautrice, e ascoltare “Arrivederci” mi fa oggi lo stesso effetto di un ritorno in una casa che ami da sempre, ma dalla quale mancavi da troppo.

MANAGEMENT, Anita

C’è della verità  che sanguina dalla pelle di “Anita”, canzone che si fa carne e finisce con il raccontare film che non abbiamo visto magari tutti, ma di cui tutti abbiamo paura. C’è un’ostinazione, da parte del Management, a guardare negli occhi l’oscurità : una dedizione all’autopsia emotiva di corpi straziati da una contemporaneità  sempre più amara, straziante, alienante.

BLUEM, Adele

Un incipit da “Piccoli Brividi” per il nuovo singolo di Bluem, che mescola luce ed oscurità  in una produzione che continua a guardare verso il Mediterraneo con sempre più evidenti influenze elettroniche, richiamando mondi diversi per una geografia dell’anima dell’artista sarda che continua a conquistare. Qui, rispetto ai primi brani, esce fuori tutto lo slancio “dancefloor” della sua poetica.

AFTERSAT, Terra c’accide

Tra le uscite più interessanti del fine settimana metto parola e cuore su Aftersat, collettivo campano che dopo la pubblicazione, mesi fa, di “Intosole” torna con un brano che sanguina lacrime amare, senza celare una voglia di rivalsa e di resistenza che sembra scorrere nelle vene di chi non demorde, e non smette di amare le radici che ha. Un folk mediterraneo contaminato da venature altre, che attingono dal post-rock e dal progressive, in un melpot culturale e linguistico che assomiglia ad un porto di mare: è il caso di tenerli d’occhio (e d’orecchio).

SMOKIN VELVET, Jalapeno (album)

Un disco d’esordio che sembra fatto apposta per far infiammare tutto, con una piccantezza che crea dipendenza sin da primo ascolto: una risma di stoccate di classe, racconti autobiografici, scanzonate serenate e sguardi ironici su un mondo alla deriva, per un album che raccoglie due anni di ricerca prima della pubblicazione del tutto; un metodo di lavoro che avvicina, sin dal debutto, gli Smokin Velvet ai veterani di questo mestiere, che un mestiere per alcuni ancora non è.

TORCHIO, Lo farei

Cantautorato vecchia scuola, con evidenti echi gucciniani che provano a tenersi in equilibrio su un pianoforte lisergico che stempera la costruzione un po’ “retrò” di una scrittura che mantiene comunque alto il livello poetico.

UBERTONE, Meconio (album)

Un bel songwriting che s’incastra effiecamente su arrangiamenti volutamente organici, che ammiccano ad un certo “folk” che fa bene comunque, come sempre, all’anima. E anche alla nostalgia.

BOULEVARD, Buona dose

Piglio rock’n’roll che si combina con l’ottima vocalità  di un frontman che unisce distorsori, ironia e una certa voglia di sfasciare tutto, per poi ballare sulle macerie. E ricostruire.

RICCARDO DE STEFANO, Quando viene sera

Parte con un bel muro di sintetizzatori, il nuovo singolo di De Stefano, che mantiene un certo appeal cantautorale mescolando esistenzialismo e un pizzico di visione olistica dal retrogusto orientaleggiante; un inno a metà  tra lo sciamanico e il filosofico per agevolare la catarsi liberatoria dell’uomo contemporaneo, oppresso da una “sera” che sembra ormai stendersi come una mano sugli occhi di tutti, inducendo ad un sonno che del liberatorio, in realtà , non ha nulla.

JHONNY CANNUCCIA, Follow me

C’è qualcosa nel brano di Cannuccia che mi puzza di dissing nei confronti dei Maneskin, sarà  per l’assonanza del titolo, sarà  per il contenuto incendiario ed ironico di un brano che fa il punto sulla vita di tanti che sono cresciuti a cavallo tra la fine e l’inizio del nuovo millennio; una cavalcata dal vago retrogusto hip hop che in realtà  concentra le sue energie su un cross-over riuscito dal retrogusto eminentemente cantautorale.

LEFRASIINCOMPIUTEDIELENA, Glicine

Mica male il ritorno nel ’23 dell’artista, che con “Glicine” tira fuori proprio un bel singolo che non sembra un singolo quanto piuttosto un viaggio tra gli spigoli di un’anima complessa, da aspettare e svelare con calma. Mi piace molto, e il testo rimane come sempre capace di evocare atmosfere niente male.

LA CHIAMATA D’EMERGENZA, Mi perdo

Bel mood urban per La Chiamata D’Emergenza, che non conoscevo affatto ma ha saputo farsi apprezzare; non è proprio il mio mondo musicale ma la produzione gira bene e la vocalità  dell’artista sa convincere con semplicità .

VILLA PSICOSI, Sesto San Giovanni

Allora, first reaction: shock. Ma appena entri nel brano e ti fai calamitare dal mondo da R. L. Stine disegnato da Villa Psicosi finisci con il cogliere la strana genialità  di una canzone assurda, divertente e capace di risvegliarci dal movimento zombie da release friday e lobotomia discografica.

FLORIDI, Vegan food

Ritorno in salsa vegan per Floridi, che leva dal suo ritorno tutti quegli ingredienti che finiscono con l’appesantire il pasto, riuscendo a cucinare un brano che sembra mainstream, ma non lo è, che sembra vegan, ma che è pieno di uno spirito “carnale” mica da poco. La voce di Floridi come sempre fa il novanta per cento del tutto, ma la parte di batteria rende il brano davvero cool grazie ad un sound che guarda con interesse alla scena indipendente dei primi Duemila.

FUORI DAI DENTI, Una famigliola

Mamma mia, che discesa agli inferi in pieno stile pulp per FDD, che cuce un testo davvero creepy su una cavalcata in salsa hard rock. Tutto esplode, compresa la tua idea personale di dubbia moralità  che di certo, dopo aver ascoltato “Una famigliola”, si trasformerà  in furia omicida.

CIULLA, Il cielo sulle spalle

Che bella canzone, la terza del nuovo percorso di Ciulla, che conduce dritto alla pubblicazione del suo disco in primavera che si annuncia giusto un po’ “intenso”. C’è un’anima particolare, in “Il cielo sulle spalle”, che richiama alla dimensione della preghiera e che cerca ostinatamente la “semplificazione” (non superficiale) musicale nella ricerca di un’essenza che assume ad un certo punto un colore decisamente a la Elton John.

RUBEN COCO, Perchè non ci riesco

Un intimismo sincero, che non si fa eccessivamente introspettivo ma si aggiusta su una dimensione pop che finisce con l’arrivare a tutti, prendendosi anche il rischio di una camminata pericolosa sul filo del silenzio affidando alla voce a cappella l’essenza di un brano che arriva subito, nonostante affatto “immediato”. Pregio non da poco.

ELLEN, Caduta

Che piacevole delicatezza, per il nuovo singolo di Ellen, che comincia in punta di piedi per poi farsi pian piano strada nel cuore e nel cervello dell’ascoltatore; la penna non è male, ma questo Ellen ce l’aveva già  fatto capire con i precedenti brani. Qui quello che colpisce è la tendenza ad alleggerire, a lasciare solo l’essenziale, concentrando l’attenzione sui suoni: il pianoforte, ad esempio, è proprio bello.

GUIDOBONI, Bella figura

Il brano parte con un passaggio di batteria, e già  mi conquisti; poi attacca il cantato e mi gaso da matti, perchè nel cuore sembra urlarmi l’adolescente innamorato di Ivan Graziani che, fortunatamente, pare essersi preservato anche nell’adulto. Un brano divertente, che diverte perchè divertito. E non è mica cosa da poco, essere veri. E in più, impazzisce sul finale, con un retrogusto a la Zucchero che mi fa godere alla seconda.

MAZZARIELLO, Ufficio oggetti smarriti (album)

Il titolo dell’EP è più che azzeccato, perchè dentro la cinquina fortunata di “Ufficio oggetti smarriti” ci sono tutte quelle cose che è sempre più difficile trovare nella musica di oggi, e che sembrano essersi realmente persi e smarriti in un passato glorioso perduto. C’è Bon Iver, c’è qualcosa di estremamente evocativo che ammicca all’ hi-fi, c’è una scrittura dolcissima e ispirata che si lascia apprezzare da un pubblico potenzialmente davvero variegato e vasto.

RARES, Ahinoi

Eh beh, ahinoi davvero, nel senso che qui sembra non essercene per nessuno: il talento veneto mangia in testa a tutti – con un evidente debole per i capelli al forno con le noci, se non cogli la citazione allora sei in errore – navigando ben a largo dal prevedibile e dal consumabile. Produzione e suoni importanti, speciali e unici: la scrittura è il solito viaggio fatto più di suoni che di parole, e di immagini che puntano a scatenare l’automatismo di un cervello liberato.

QUALUNQUE, Angelica

Mi piace Qualunque, è da un po’ che lo seguo e alla fine ha sempre saputo stupirmi e non è mica cosa da poco, quando qualcuno ti ascolta con aspettative maggiori. Questo è forse il suo brano più “romanticone”, ma non perde quella vena di “disagio” della quale Qualunque sembra nutrirsi con creatività .

ROGUE CHARLIE, Irragiungibile

Ma che bella scoperta (per il sottoscritto), quella dei Rogue Charlie: vocalità  giusta (quasi alla Timoria) per un genere che necessita, oggi, di mantenersi sempre in equilibrio sul rasoio per non scadere nel trash: qui, invece, ci sono idee musicali che brillano con una certa semplicità  rievocando mondi che guardano con identità  all’internazionale. E anche la penna, va detto, non è niente male: bravi!

MARGANO, Fermate (EP)

Un buon EP per Margano, che raccoglie una manciata di brani ben fatti e ben prodotti, in bilico fra soul e latin, con incursioni nella canzone d’autore e in un rock molto leggero che comunque si fa ben godere.

TIA AIROLDI, MARCO GILIOLI, Quincy

Un altro piccolo scrigno per il duo più cool della scena, con un piglio jazzy che riporta in vita sensazioni che non possono non scaturire sin dalla contemplazione del titolo del brano; “Quincy” si fregia di un cantato che allarga le spalle e fa pian piano levitare il corpo verso altezze imperscrutabili.

VINICIO SIMONETTI, Messi al mondo

Che bel piglio da rocker d’annata per Vinicio Simonetti, artista che non conoscevo e che è riuscito a strapparmi un sorriso compiaciuto fin da primo ascolto. C’è un bel groove nel brano, e le chitarre creano un effetto quasi lisergico che farebbe andare fuori di testa anche il più equilibrato degli ascoltatori: rimane tutto compassato, per poi implodere con efficacia in un climax anomalo quanto piacevole.

GAIA RESTIFO, Regole

Mi piace il sound e la voce di velluto di Gaia, che riesce a far collimare presente e futuro in un brano che guarda all’anima soul della Restifo e allo stesso tempo si apre a sonorità  che attingono dall’urban e dall’elettronica contemporanea. Buonissimo ritorno, con un’ottima produzione.

I GINI PAOLI, Esotica Naturalizada (album)

Mi piacciono molto I Gini Paoli, scoperta importante di questo 2023 che fa sembrare in inesorabile discesa l’anno sin dai primi giorni di gennaio; sì, perchè il livello è alto e le idee sono altre rispetto a quelle in cui capita di imbattersi navigando nel “release friday”: un melpot di influenze e linguaggi che sposano l’afrobeat, il rock progressivo e la disco-music anni Settanta con un certo retrogusto “dadaista” che concede incursioni in mondi lisergici e gradevolmente psichedelici.

GIANNUTRI, Ma non per te

Una scelta estetica niente male per Giannutri, che affida al climax la riuscita di un brano decisamente atmosferico, fatto per muoversi con la leggerezza di una nuvola bassa. Slanci qua e là  epici e vagamente progressive per un brano che riecheggia gli esperimenti del Battisti più ispirato e folle, rimanendo dotato di una forte matrice indie sì, ma old school: il testo è una piccola perla che sta bene dove sta, sulla somma di precipitazioni che i primi minuti strumentali del brano regalano all’ascoltatore. Da ascoltare tutto l’EP, dal quale il singolo è estratto.

CARTAPESTA, Scarpe

Ottimo sound, dalle reminiscenze un po’ teen e brit pop, per i Cartapesta, che ricordano una buona alchimia tra mondi diversi, resa possibile dal minimo comune multiplo di una vocalità  che si fa godere eccome: sennò come si potrebbe pensare vicini Ultimo e i Bastille, Gazzelle ed echi di Lumineers?

IOSONOTOMMI, Ho finito le canzoni

Non mi dispiace Iosonotommi, che tira fuori dal cilindro un brano godibile che echeggia mondi vicini certamente ad un mainstream che sembra aver fatto il suo tempo (o almeno, così si augura il sottoscritto) ma che comunque vive con autenticità  nella canzone dell’artista livornese, grazie ad una spensieratezza molto teen che ben rende il piglio pop-punk del tutto. Insomma, speriamo che il titolo non sia verità .

BRX!T, Notti a caso

Mi parte subito la cervicale appena premo “play” su “Notti a caso”, e la colpa è tutta dei BRX!T; no, tranquilli, non è un brutto segnale, anzi: è il sintomo di un rock’n’roll tenace che porta la testa ad ondeggiare con il rischio di cadere giù dal collo. Certo, alcuni passaggi autorali non mi esaltano proprio del tutto, la penna si può “affilare” e la melodia si può “affinare”, ma i distorsori e la fotta sono quelli giusti.

COSTA, Quer ballo

E vabbè, parte la chitarrina e cm’hai già  conquistato perchè dentro, sotto sotto, sono un “Romeo der Colosseo” che quando nessuno lo vede miagola a tutto spiano sotto le finestre di mille gattine sorde, e si fa mozzicare la coda dai tumulti dell’amore; dentro “Quer ballo” c’è una Roma sospesa ed incastrata tra le sei corde di una serenata in piena regola, che distendono l’anima e incollano all’ascolto. Poche cose, giuste, quasi buttate là  per scherzo ma alla fine capaci di emozionare perchè emozionate.

I DOLORI DEL GIOVANE WALTER, Coralli

Non mi dispiace il taglio di “Coralli”, che sembra essere netto con il passato e allo stesso tempo proveniente da una maturità  conquistata con la ricerca; il sound è fresco, leggero, pop senza essere a tutti i costi mainstream. C’è qualcosa nelle scelte che ricorda l’ultimo disco degli Arctic, con quella vocalità  un po’ soffusa che sta molto bene sul piglio R&B del brano, e su quegli accordi di piano che reggono tutto.

NAELI, Non è niente

Buona vocalità  per Naeli, che si lancia con una buonissima identità  (e un’ottima autenticità ) in una ballata che finisce con il diventare iniezione di fiducia per chiunque, ogni tanto, vive crisi che sembrano inesauribili e insuperabili: un pianoforte, una penna e una semplicità  che alla fine riesce a colpire nel centro.

SCIANNI, Mostri

Non è male il brano di Scianni, che certo ha bisogno ancora di maturare consapevolezze che già  si lasciano intravedere nella scrittura di un testo che se la cava niente male; la produzione aiuta comunque la canzone a rimanere in piedi, e lo fa senza saturare troppo il tutto.

DAFNE, Tra illusione e realtà 

Piglio funky che prova a sostenere lo slancio vocale di Dafne, cantautrice ben decisa a contaminare il suo pop con sfumature diverse, provenienti da linguaggi altri. Alla fine, forse il brano si satura un po’ troppo e di un po’ troppe cose, ma nel complesso l’ascolto è scorrevole.

ELETTROGRUPPOGENO, Elettrogruppogeno (album)

Vi avevo detto, negli scorsi bollettini, che Elettrogruppogeno fosse una realtà  da seguire con estrema attenzione, senza farsi troppe domande perchè le risposte sono già  tutte nel primo “play”: ironia irriverente, colori accesi che ammiccano ai PTN ma lo fanno con un’autenticità  diversa, e non è poco. Sono curioso di vederli dal vivo: mi immolo per un loro tour nazionale che faccia tappa in Liguria.

HOFMANN ORCHESTRA, Perchè amo il mio lavoro

Solita scarica elettrica che attraversa tutta la spina dorsale per liberarsi al suolo con fragore di tuoni e fulmini; c’è, nel nuovo singolo della Hofmann Orchestra, uno slancio demenziale e allo stesso tempo amaro che rimanda agli Skiantos, con la carica al tritolo armata a colpi di rock’n’roll.

ANDREA RA, Monte Shasta

Mamma mia, che giostra di immagini e colori che riesce a costruire Andrea Ra, che mostra tra l’altro una buona attitudine non solo sullo strumento, ma anche nella penna: “Monte Shasta” è un’inno distruttivo e costruttivo allo stesso tempo che fa venire una certa voglia di riascoltare un po’ di sano rock anni Novanta.