Ci deve essere qualcosa nell’aria di San Francisco, qualcosa che spieghi l’esistenza di gruppi dalle influenze musicali spesso molto diverse che convivono fianco a fianco. Forse bisognerebbe chiederlo ai Cormorant, cosa c’è di speciale in quel della Baia. Band di musicisti orgogliosamente e fieramente indipendenti, quella formata dal bassista e cantante Arthur von Nagel, dai chitarristi Matt Solis e Nick Cohon e dal batterista Brennan Kunkel: i dischi se li distribuiscono da soli non appoggiandosi per scelta a una casa discografica (il do it yourself ha superato da tempo i confini del punk).
“Dwellings” esce a due anni di distanza da “Metazoa” e del predecessore conserva il furore e la quasi totale assenza di compromessi. Sette tracce, ma vista e considerata la lunghezza media dei pezzi questo è da considerare come un album vero e proprio, non un EP lungo o altre diavolerie. Balzano subito all’orecchio gli oltre nove minuti di “Junta”: vero e proprio assalto sonico con echi di Sepultura, rapide transizioni e (rari) momenti di pausa che in realtà servono solo a ricaricare le batterie e tornare all’attacco più forti di prima. “The First Man” cavalca l’onda black metal, “A Howling Dust” quella folk metal, mentre “Funambolist” si tiene abilmente in equilibrio tra potenza psych rock e melodia. Le chitarre di “The Purest Land” vantano chiare ascendenze prog, ben evidenti anche in “A Howling Dust”, nella strumentale “Confusion Of Tongues” e nella infinita e bellissima cavalcata finale “Unearthly Dreamings”.
Duri e puri come sono, in costante crescita e evoluzione, i Cormorant possono guardare con tranquillità al futuro che hanno davanti. E’ il caso che i fan orfani degli Opeth prima maniera si asciughino le lacrime e diano un’occhiata a questo gioiellino: forse troverebbero pane su cui scatenare i loro denti affamati.