Avvicinarsi a un gruppo attraverso l’esperienza del live può essere cosa altamente rischiosa: rischi di trovarti in una serata no per la band e te li rovini per tempo e tempo. Non mi nascondo: io dei Savage Republic conoscevo poche tracce sparse e le recensioni dell’ultimo tour italiano che raccontavano di esibizioni tiratissime al limite delle due ore. Martedì sera, nulla di meglio da fare se non dargli un’opportunità .

E quindi eccomi al Circolo degli Artisti, davvero poca gente all’inizio, solita birra di routine, arrivano i miei amici e si comincia. Si comincia in maniera diversa dal solito: ad aprire la serata c’è il batterista dell’altra artista sul palco stasera (cioè Carla Bozulich, grande attesa anche con lei), Ches Smith. Una mezz’oretta di monologo suo alle pelli, agli effetti e alla batteria elettronica. Niente di originale, ma il ragazzo ci sa davvero fare (tra l’altro ha suonato con gli Xiu Xiu). Dopo poco ecco sul palco la Bozulich, accompagnata dal batterista suddetto, basso, violoncello e vari effetti elettronici. Subito vari problemi alla pedaliera collegata alla chitarra di Carla fanno ritardare l’inizio della sua esibizione: passano dieci, quindici minuti e il tutto viene (quasi) messo in ordine. Grande sorpresa, la ragazza: echi di Diamanda Galas e Lydia Lunch nella sua voce, sonorità  che rimandano all’improvvisazione più ‘apocalittica’, pezzi suoi (composti addirittura in questa settimana!) intervallati a cover (o accenni di) di Black Mountain, Anthony e Dixie Chicks. Nonostante i problemi che ogni tanto fanno capolino sul palco, lei da tutto quel che ha e si vede/sente. Un imbecille totale (tornerà  in ‘campo’ anche più tardi) gli tira sul palco una monetina e lei, dopo un this remainds me of the old punk rock days, se ne esce con un sincero e dovuto anyway this penny will go up in your ass after the show. Applausi, per la risposta e per lo show. Da rivedere in uno spettacolo tutto suo, al più presto.

Ed ecco i Savage Republic, dagli anni ’70, da L.A., per noi. Un barile sul palco mi ricorda l’esibizione dei Faust poco tempo fa: fortunatamente questa volta non sarà  martoriato con una motosega ma usato come percussione. Si inizia con un We have a new president”…finally! che scaturisce un onesto applauso dal pubblico del Circolo. E si parte. Il post punk (che immaginavo fosse loro marchio di fabbrica) è presente, ma ciò che mi stupisce e mi affascina è che mi ritrovo davanti ad un’esibizione che ricorda più che altro i viaggi krautrock di faustissima (scusate il gioco di parole!) memoria, sovrapposti ad una batteria e”…barile ossessivi e trascinanti. I Savage hanno pubblicato due anni fa un nuovo album, 1938 (“It’s 1938 Again”…”), e vengono proposti diversi brani da quest’ultimo disco, di un’oscurità  unica, vitalizzati ogni tanto dal passaggio di Ethan Porth (il ‘percussionista”‘) alla seconda chitarra. I Savage Republic hanno da poco suonato su un tributo di una label francese ai Cure: ed ecco proposta la “Hangin Garden” più bella di sempre, muro sonoro come se ne son sentiti pochi al Circolo. Il pezzo più bello della serata. Il concerto si trascina fino alla fine, cioè un vecchio singolo intitolato “Viva La Rock’n’Rolla”: miglior titolo di sempre (e grande traccia). Peccato per l’imbecille di prima che ha rischiato di farsi picchiare dal bassista (che non è gracilino, anzi, e per di più lo voleva picchiare col suo basso!) per (in seguito): aver tirato del ghiaccio addosso agli SR (e Furhmann, il bassista, gli ha risposto con un You’re punk prima di minacciarlo con il proprio 4 corde), avergli gridato You suck! e Obama fuck you! e, per finire, aver tentato di salire sul palco per rubare una bottiglietta d’acqua. A quel punto (purtroppo solo sull’ultimo pezzo) viene allontanato dalla sala. Ragazzi drogatevi pesantemente altrove, ve ne prego.

Cretini a parte torno a casa più che soddisfatto: mi accaparro 1938 (e che disco!!) e la soddisfazione per aver avuto il coraggio di scoprirli così, in presa diretta. E il desiderio di stringergli la mano dopo lo show non era dovuto solamente a un atto di cortesia: certo anche quello, ma soprattutto un sincero e vivo apprezzamento per il gran concerto che c’hanno regalato. (E in ultimo, ma non per ultimo, un grazie particolare a Andrea Carletti per le foto ““ www.slowcult.com)

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