Beth Jeans Houghton, 22 anni, è una bella hipster di Newcastle che esagera un po’ col trucco, pubblica foto vintage sul suo tumblr e ama inventare improbabili storie sulla sua infanzia. Fidanzata con Kiedis dei Red Hot (con cui ha la stessa differenza d’età che io ho con mio padre, tanto per dire) ha pubblicato un po’ di EP in autoproduzione fino al recente passaggio su Mute. Insomma, tutto sommato un personaggio che, in un’era discografica in cui certe personalità alt-pop al femminile spadroneggiano senza grandi complicazioni, rischia di non destare neanche troppo entusiasmo. Fino all’ascolto del disco.
“Yours Truly, Cellophane Nose” è il disco che un po’ t’aspetti, ma non immagini neanche lontanamente possa raggiungere certi picchi e non scendere mai durante il suo ascolto. Insieme ai tre Hooves Of Destiny, Beth Jeans mastica folk, rock da camera, art pop orchestrale e quant’altro, risputando il tutto in dodici pezzi che scorrono via con una freschezza e una genuinità che non si sentivano da anni. Non affida il suo successo alla sola voce come farebbe una Florence Welch qualsiasi, accoppiando suadenti tonalità liriche ad ottimi arrangiamenti che sanno al contempo di antica Inghilterra e di new-weird, reinventando quanto già detto da tanti in 36 minuti di puro fascino.
Il debutto parte in quarta con i saliscendi dell’ottima “Sweet Tooth Bird”: cori, orchestrazioni sublimi, un timbro apparentemente roco e dimesso capace di salire a dismisura fino a esplodere in percussioni roboanti, il tutto graziato da un videoclip ottimo, sorta di “Wall-e” in salsa hip. “Humble Digs” insaporisce un indiepop qualsiasi di folk e Appalachi mentre “Dodecahedron”, altro singolo estratto, oscilla tra strofe rette su una chitarrina malinconica e piccoli quadri barocchi non dissimili a quelli della migliore My Brightest Diamond. Nuovi scenari nella cavalcata “Atlas”, mai troppo difforme dagli altri pezzi: cori, sobbalzi orchestrali, percussioni notevoli a favore di una struttura un po’ progressive che pone Beth Jeans sopra un piedistallo distante anni luce dalla maggior parte delle varie ninfette pseudoalternative, e non siamo neanche a metà disco.
La doppietta “The Barely Skinny Bone Tree” ““ “Liliputt”, forse la vera bomba del disco, vede rispettivamente le migliori prove vocali e melodiche del pacchetto, prima trascinando una mesta cantilena fino a raggiungere l’apice coristico, poi, partendo da toni più decisi, trainando una melodia semplice semplice pompata di archi e percussioni fino all’ovvia conclusione affidata ai lirismi vocali. “Carousel” con un nome del genere non poteva che reggersi su assoli d’archi, mentre in “Harlequin” si torna prepotentemente in territorio pop, seppur filtrato da quella patina che si fatica a definire folk ma che protende prepotentemente in quella direzione. Capitolo a parte per la conclusiva “Prick AKA Sean”, rapida mitragliata garage con tanto di fanculo finale, a chiudere in bellezza un debutto brillante.
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2. Humble Digs
3. Dodecahedron
4. Atlas
5. Nightswimmer
6. The Barely Skinny Bone Tree
7. Liliputt
8. Veins
9. Franklin Benedict
10. Carousel
11. Harlequin
12. Prick AKA Sean