Da un paio d’anni, in Italia, c’è un bel fermento intorno alla dubstep, con un fisiologico ritardo rispetto all’esplosione globale del genere, ma vabbè: è necessario ricordarsi che è un genere particolare, ossessivo, per niente adatto ad orecchie cresciuto a pane ed 883 (la mia generazione) o, peggio, alle schifezze immonde che i network e le major ci propinano nel 90% dei casi. (e poi, il Pezzali almeno era uno sfigato e cantava la sua vita da sfigato con una sempre ben accetta dose di sincerità ).
Il neofita, nella marcia di avvicinamento alla dubstep, gira intorno ai soliti nomi. Senza stare a fare elenchi, tra questi nomi spicca quello di Chris Mercer aka Rusko (tra l’altro laureato in Music Perfomance al Leeds College of Music), nel 2010 autore di “O.M.G.!”, suo esordio, un disco che cercava di spostare il dubstep verso il mainstream, provando a portarlo fuori da un underground delle volte forzato, senza però perdere di vista le radici da cui tutto era nato. Senza prendersi troppo sul serio. E con dentro “Woo Bost”, tra l’altro.
Per quanto riguarda il secondo album “Songs”, (anticipato da una raccolta dei suoi remix disponibile in free download sul suo sito), il mio timore principale era vedere Rusko trasformarsi in uno Steve Aoki qualunque o, alla peggio, in uno di quei producer nati e sviluppatisi nella masnada di casino midrange che tanto va per la maggiore nelle attuali produzioni dubstep di una certa rilevanza mediatica (*cough* Skrillex *cough*), un drop dietro l’altro e synth che fanno solo rumore per 4 minuti.
Fortunatamente, il pericolo viene scampato. Rusko ci regala subito una bombetta con “Somebody To Love” subito dopo l’intro e poi prova a rifare “Woo Bost” su “Opium”, senza riuscirci appieno. Scorrendo la tracklist troviamo tributi al ragga (tipo “Rubadub Shakedown” su “O.M.G.!”, qui è “Love No More”) e alla UK dance (come nel primo disco con “Hold On”, qui troviamo “Pressure”), e un tentativo di fare il colpaccio con “Dirty Sexy”, tentativo di pop che non gli è venuto proprio benissimo, ma che si lascia ascoltare.
Perchè inserire anche i riferimenti al primo disco? Perchè in generale l’impressione che mi ha lasciato e stata quella di un disco che replica l’esordio, il classico compitino fatto perchè si deve e senza troppa voglia. Fatto tutto bene, ma con una certa sufficienza. Aspettiamo il lavoro con i Cypress Hill, con tanta curiosità , perchè lì il caro Chris dovrà fare molto, ma molto di più.