Sull’isola di Spitsbergen, a 1000 km dal Polo Nord, c’è un insediamento chiamato “Piramida”. Per circa settant’anni è stato popolato da un migliaio di russi, una miniera di carbone e poteva vantare una statua di Lenin nella piazza centrale. Nel 1998 il proprietario della miniera ha deciso di levare le tende e se non fosse stato per gli Efterklang““ che hanno trascorso nove giorni a raccogliere materiale per il disco nuovo”“ Piramida sarebbe rimasto ignoto ai proseliti del pop. Tutt’oggi l’insediamento è pieno di relitti del suo recente passato, strumenti obsoleti e latte bruciate che loro malgrado sono finiti in dieci tracce arrangiate per la 4AD.
Siamo condannati a immaginare il Nord come un luogo magico, ma pur avendo momenti di prevedibile lirismo boreale (“Dreams Today”), gli Efterklang salvano “Piramida” dalle favole che si possono raccontare su di esso e lo trasformano in un luogo magnetico e caldo.
Il disco è ricoperto da una garza imbevuta di soul, Talking Heads, falsetti in cui Casper Clausen rasenta il plagio di Justin Vernon (“Sedna”), un po’ di esotismo Beirut (“Apples”), e pur essendo congenitamente malinconico, evita i clichè da isola o penisola con alto tasso di suicidi, che è l’altro modo in cui siamo condannati a immaginare il Nord (figuriamoci in un villaggio da cui sono fuggiti tutti).
La mestizia di “Piramida” non è il risultato di una transizione ordinaria”“ io ti infilo nel lettore e tu mi racconti quanto è deprimente questo posto”“ ma è come la mappatura di un fondale, dove ci vogliono strati di cartine sovrapposte perchè emerga un’idea di cosa ci sia veramente sotto. Tra una formazione rocciosa e l’altra, il trio danese scova sacche intatte di bellezza e trivella a fondo affinchè possano erompere in superficie. Resiste alla tentazione di creare un’inondazione”“ che sia un ritornello banale, un coro d’archi tronfio e grandioso”“ ma ti porta a conoscenza di qualcosa che prima semplicemente non c’era.
Come il pop orchestrale e ambizioso dei Grizzly Bear, “Piramida” ha un qualcosa di frustrante. è un disco che pretende la tua attenzione e vuole essere ascoltato al punto di farti ammettere che è un’opera che vive e respira, tutt’altro che fantasmagorica pur essendo nata in un paese di fantasmi e per fantasmi. Nessuno si è mai divertito molto a catalogare i resti di una civiltà scomparsa o a trivellare pozzi nel nulla. E infatti, gli Efterklang qui a volte sono ostici e noiosi.
In una ben nota appendice de Il Re Pallido, David Foster Wallace scrive: Presta grande attenzione alla cosa più noiosa che trovi (dichiarazioni dei redditi, il golf in televisione) e, a ondate, una noia mai provata ti invaderà finendo quasi per ucciderti. Superala, e sarà come passare dal bianco e nero al colore. Ascoltare “Piramida” è come attraversare strati di noia progressiva. Ma se uno stringe un patto e non lo tradisce, se rispetta quello che il disco gli chiede, allora il Nord gli si scomporrà in una tavolozza di colori.
Certo, potremmo comprare un prisma già fatto invece di aspettare che un vetro si rompa per rifletterlo contro il sole. Ma se la beatitudine è all’estremo opposto della noia mortale, perchè mai dovremmo sottrarci a un piacere simile?
Credit Foto: Rasmus Weng Karlsen