Tornano all’antico i The Men, rispolverando quel garage rock vibrante, abrasivo, melodico tipico non tanto del primo album “Immaculada” (ben più rumoroso e sperimentale) ma del secondo disco “Leave Home”.
Nick Chiericozzi, Mark Perro, Kevin Faulkner, Rich Samis riscoprono le radici dunque, registrando ai Serious Business Studios di Brooklyn in quella New York che in fondo è stata sempre presente in spirito nelle loro canzoni.
S’immergono nelle strade di una Grande Mela che nelle loro mani diventa un frutto poco raccomandabile, nato dall’albero della compilation Nuggets, del punk e degli anni settanta quando il pericolo si respirava ad ogni angolo.
Batteria, chitarre e un mucchio di riff, tastiere trillanti, cumuli di rabbia, gli MC5 come numi tutelari in un gioco di sopravvivenza che trasforma il quartetto in una macchina da guerra di proporzioni ammirevoli. Il lato più graffiante e rabbioso dei The Men – quello di “Hard Livin’”, “Peace Of Mind”, “God Bless The USA” – è bilanciato da ballate come “Anyway I Find You” che ricordano il periodo ben più melodico del quarto album “New Moon”. Sono però brani dall’indole sfacciatamente punk come “Echo” e “Eye” a convincere, rumorosissima cavalcata dal piglio esplosivo la prima mentre la seconda è un bel midtempo dall’anima blues e dal corpo psichedelico.
La seconda parte di un nono disco nato per essere suonato live mantiene alto il ritmo con la sbarazzina “Eternal Recurrence”, la corposa “Round The Corner” e i suoi riff potenti, la ritmata e irresistibile “Through The Night”. Poche pause e nessun compromesso in dieci brani che scorrono via lisci fino al gran finale: i sei minuti e mezzo di una “River Flows” tagliente che chiude i giochi affidando le ultime note a un organo funereo e ammiccante. Fare un giro a “New York City” è insomma un gran divertimento, un bel viaggio nella storia musicale e privata dei The Men.