Da una parte c’è, indubbiamente, il fascino esercitato dal passato. Un passato che, però, richiede una conoscenza profonda, uno studio ed una partecipazione che fanno sì che la band bresciana non si riduca ad essere una semplice, effimera e banale creatura
tangenziale, ma sia, invece, in grado di esprimere un proprio personale filo narrativo, emozionale e sonoro, cioè sia in grado di crescere, di maturare e di progredire, andando ad impattare sulla propria creatività, sul proprio songwriting, sul proprio futuro e sulla propria visione musicale.
Dall’altra parte si sente il bisogno di ritrovare una connessione pacifica e veritiera con la natura e con il mondo circostante, ritrovando il filo di una storia di frontiera che affonda le sue radici nel rock psichedelico più brutale, puro e selvaggio, tentando di aprire un canale di comunicazione diretto che non risenta più delle sovrastrutture mediatiche ed artificiali imposte dal nostro iper-tecnologico, individualista e morboso presente, così da rendere le persone, indipendentemente da quelle che possono apparire come delle diversità, partecipi del medesimo racconto, della medesima ricerca, dei medesimi stimoli e delle medesime percezioni.
Ed intanto il disco scava in tredici differenti visioni dell’esistenza, in tredici differenti umanità, in tredici accattivanti brani che si ispirano ad un orizzonte senza più confini, ad un cielo finalmente terso, ad un territorio nel quale coesistono la luce e l’oscurità, vapori acidi e melodie elettrizzanti, riverberi voodoo e fascinazioni di matrice blues-rock, panoramiche lisergiche zeppelliniane e il desiderio di liberarsi di ogni frustrante gerarchia sociale, di ogni ossessione estetica puramente virtuale e soprattutto di ogni tentativo di determinare e di influenzare le nostre scelte e quello che sarà il nostro cammino.
Non ci resta, allora, che fermarci a sorseggiare Bourbon con Joey, fissando le stelle, lassù nel cielo notturno, come se esse fossero le sue e le nostre cicatrici. Ci metteremo a correre, finché avremo ancora fiato, maledicendo tutte le sigarette e tutte le volte che
abbiamo lasciato all’amore l’ultima decisiva parola. E poi ci perderemo nei bassifondi della città, nelle sue nevrosi metropolitane, rischiando di impazzire dietro a quelli che sono solamente dei trucchi ammalianti e delle dannate bugie, ma, dentro di noi, sappiamo bene che ciò non accadrà mai, perché noi resteremo sempre gli stessi, quelli che hanno assaporato il silenzio e la solitudine, il freddo gelido e il buio profondo del deserto, lo stesso deserto che, nonostante le enormi difficoltà, lotta, con tutto sé stesso, per difendere e custodire la vita.