Alla pubblicazione dell’EP “Hexagons” le posizioni degli Esben and the Witch riguardo la nuova uscita discografica a venire sembravano più o meno ben delineate e piuttosto apprezzabili: il gusto gothic-pop che contraddistingueva l’esordio veniva infatti arricchito di droni e percussioni alternati a inserti shoegaze più rarefatti e lontani dalla forma canzone tradizionale. Il risultato finale alleggeriva tanta inutile pesantezza dell’esordio senza compromettere la propria credibilità , e faceva ben sperare per il sophomore.
Eccoci qui, a solo un anno di distanza, a veder smontate quelle aspettative in maniera totale e assoluta. A partire dal primo singolo, fatto uscire un paio di mesi prima della pubblicazione dell’album, si comincia a intuire che qualcosa non va; la pessima “Deathwaltz”, alt-rock arioso e indefinito, dove anche la stessa Rachel Davies sembra perdere smalto in un cantato piuttosto anonimo. Il seguente estratto “Despair”, a un primo ascolto altro pesante tonfo, risulterà paradossalmente all’ascolto del lavoro completo uno dei pochi brani decenti proposti. Seguono quindi, in parata, momenti shoegaze privi di ispirazione come “Yellow Wood”, “Putting Down The Prey”, vani tentativi di ravvivamento per chitarre effettate a caso in “Slow Wave”, “When That Head Splits”, e tanto, tanto piattume senza carattere, come se l’abbandono della forma canzone tradizionale e di un certo retrogusto pop fosse automaticamente sinonimo di noia. Un brutto disco che culmina in una grottesca tripletta finale, dove la drammaticità immotivata e malriuscita e le sgraziate atmosfere eteree proposte si afflosciano sull’orecchio dell’ascoltatore come si abbatterebbe un grosso martello sulle loro palle. Definitivamente un disco mal riuscito, magari anche partito da buone intenzioni e dalla ricerca di un rinnovamento che però, a conti fatti, non solo non c’è ma è anche colpevole di disperdere le buone promesse dei lavori precedenti.
Foto Credit: Bandcamp