Gli Sparks rappresentano una specie di anomalia nella storia della musica, una band che scrive da una vita, e ora arriva al loro ventiseiesimo album, senza aver mai raggiunto il grande pubblico, senza aver piazzato hit particolari ma nonostante questo essere riusciti a esprimersi sempre nella loro particolarità con immutata qualità.
Con “The Girl Is Crying In Her Latte” riescono ancora una volta ad essere piacevolmente convincenti riproponendo il loro pop che tra elettronica, sapori progressive e teatralità sonora, diffusa a piene mani, riesce nuovamente a fare centro, mantenendo il loro incredibile e unico stile, che li rende riconoscibili al primo colpo insieme alle loro liriche sempre sferzanti e ironiche.
Con questo nuovo album, particolarmente riuscito, gli Sparks dimostrano ancora una volta di essere un mondo a parte, una specie unica difficile da ripetere e per molti ancora da scoprire, ma che da un momento all’altro potrebbe far innamorare tutti.
La titletrack ci fa subito capire che i nostri eroi sono proprio in forma, se dal punto di vista musicale il sintetizzatore è la base su cui gira tutto, la ragazza che piange nel suo latte rappresenta ironicamente una specie di crisi esistenziale che non si placa di certo quando si ha tutto.
Se con “Veronica Lake” abbiamo il ricordo della star e della sua iconica acconciatura ( il successo del film del 1941 “I Wanted Wings” diretto da Mitchell Leisen spinse le numerosissime fan della star ad assumere la sua particolare acconciatura creando parecchi problemi e incidenti sul lavoro, tanto da spingere il governo a chiederle un cambio di stile), con “Nothing Is As Good As They Say It Is” troviamo un ritmato, ironico e coinvolgente pezzo nel quale un bambino appena nato, resosi conto di dove è capitato, in un rigurgito esistenzialista chiede di ritornare nel grembo materno (gran pezzo).
Tra gli altri brani da segnalare sicuramente “The Mona Lisa’s Packing, Leaving Late Tonight” dove batteria, sintetizzatori e incastro di voci si combinano in maniera perfetta nel raccontare come il sorriso dell’ imperturbabile Monna Lisa nasconda solo la voglia di mollare tutto e andarsene, un tema ricorrente quello della finzione sociale, e la deliziosa “You Were Meant For Me” con il sintetizzatore protagonista e una melodia accattivante che cattura.
Il finale dell’album lascia lo spazio ad altre sorprese,” It Doesn’t Have To Be That Way” una splendida ballata elettronica alla chitarra che esprime con orgoglio, ma anche un pizzico di frustrazione, la scelta di essere se stessi anche quando sarebbe più semplice e socialmente redditizio uniformarsi agli altri (……. I’ll look uncool, I’ll pay for it, I’ll pay for it/ I’ll look the fool, I’ll pay for it, I’ll pay for it/ I’ll look too schooled, I’ll pay for it, I’ll pay for it I’ll pay for itI may be wrong, I’ll pay for it, I’ll pay for it/No chart-bound song, I’ll pay for it), e la canzone che chiude definitivamente le danze “Gee, That Was Fun” che racconta di una perdita, o di una fine di qualcosa, con triste ironia e con amore, bello e commovente.
Gli Sparks vanno oltre ogni aspettativa, tra melodie che solo loro riescono a fare, arrangiamenti sempre sorprendenti e testi brillanti, profondi e allo stesso tempo divertenti, restano ancora una offerta musicale fresca e attuale, mentre molti della vecchia generazione annaspano gli Sparks non fanno una piega e sono ancora al massimo della loro creatività, giù il cappello.