Bisogna ammetterlo: i Mumford and Sons sono “animali da palco”, con l’accezione più positiva che questa espressione può portare con sè. Sono dei comunicatori, si sanno muovere, sanno mettere in piedi uno show con i controfiocchi”… con l’accezione più positiva che la parola “show” può portare con sè, ovviamente, cioè quella di mostrare qualcosa che sia bello, innanzitutto. Mai l’Alcatraz aveva saltato, ballato e soprattutto cantato così tanto. Talmente tanto che durante le prime canzoni Marcus e la sua chitarra si sentivano a malapena”… e non era per la corda rotta durante “I will wait”. Ma andiamo con ordine.
Spalle: Jesse Quinn, ex dei Keane, grande amico di Marcus & Co, che con sincerità e una chitarra si sorbisce i mormorii di fondo della gente che non vuole ascoltare; ma solo finchè lo stesso Marcus e poi anche i Sons non decidono di unirsi a lui in due canzoni di pregevole fattura. Il pubblico si sente quasi preso in giro quando al posto loro salgono sul palco le Deap Vally, duo californiano al femminile (per la gioia almeno degli occhi degli uomini) che, nonostante i fischi, propone un garage rock tecnicamente ineccepibile, unendo una che picchia come una dannata alla batteria e l’altra che ha un sound di chitarra davvero non male”… vocalmente criticabile e musica decisamente fuori luogo se la gente è lì per il folk. In altri contesti sarebbero state apprezzate di più (peraltro avevano suonato già con i Vaccines).
Alle 22.00 comincia la Musica. Tripletta scoppiettante: “Babel”, “I Will Wait” e “Whispers in the Dark”. Poi cominciano i cambi di postazione e gli scambi di strumento: Marcus va alla batteria in un paio di pezzi (fino a sfondarla alla fine di “Dust bowl dance”) e pure Ted, mentre Ben e Winston dimostrano di saper suonare rispettivamente anche chitarra e basso. Tris di fiati per “Lover of the light” e alcune altre, e Ben Lovett che parla in un italiano quasi perfetto con il pubblico, seguito da una tentata imitazione da parte di Marcus. I Mumford alternano brani del primo album Sigh no more ai più aggressivi di “Babel”. E dopo “Timshel” e l’incredibile “Little lion man”, in pochi ascoltano l’intro psichedelica a “Thistle and Weeds”, conferma forse di quanto avevano annunciato tempo fa in un’intervista, del fatto cioè che a breve si sarebbero dati all’elettronica”… folktronica a questo punto, che molti hanno già ripudiato prima di poter ascoltare qualcosa: ne abbiamo avuta la conferma ieri sera.
Nasi rivolti verso l’alto per il bis, verso una balconata laterale da cui i M&S cantano “Sister” a cappella, citando quella volta a Verona in cui fecero lo stesso, anche se in un luogo molto più caratteristico e pittoresco. Il silenzio viene interrotto soltanto da una sciura probabilmente straniera che riceve gli insulti corali dell’Alcatraz dopo aver provato con successo a far sentire la sua voce tra quelle dei giovani inglesi. “Winter winds” e “The cave” per finire, in bellezza.
Non è stato il miglior concerto a cui abbia assistito, questo va detto. Certo è però che i Mumford and Sons cantano e suonano musica sincera e vissuta, mai banale”… che rimane nella storia insomma. Domani saranno in un altra città , ma la speranza è che continuino a let the memories be good for those who stay (“Winter winds”).
Setlist:
BABEL
I WILL WAIT
WHISPERS IN THE DARK
WHITE BLANK PAGE
HOLLAND ROAD
TIMSHEL
LITTLE LION MAN
LOVER OF THE LIGHT
THISTLE & WEEDS
GHOSTS THAT WE KNOW
HOPELESS WANDERER
AWAKE MY SOUL
ROLL AWAY YOUR STONE
DUST BOWL DANCE
— Encore —
SISTER
WINTER WINDS
THE CAVE