Il Thurston Moore che capeggia gioioso i Chelsea Light Moving (band con cui ha deciso di ripartire dopo i Sonic Youth) è un uomo che sembra ringiovanito di qualche anno e no, non solo a causa del taglio di capelli da teenager o della rabbia tutta adolescenziale che esibisce in “Lip”. Più che altro per l’entusiasmo (anche questo da ragazzino) con cui ha abbracciato un’esperienza nuova e fortemente voluta, che somiglia all’ardore di un musicista del liceo che parla del primo e amatissimo gruppo punk creato insieme ai compagni di scuola.
I CLM hanno in comune con quel tipo di band la dedizione convinta e assoluta dei partecipanti al progetto, l’alchimia istantanea che si crea tra compagni di viaggio dal background simile, i soprannomi e poche semplici regole (tipo il suoniamo dappertutto, compleanni e matrimoni compresi, basta che non abbiano a che fare con la NRA che ha fatto impazzire gli utenti di Brooklyn Vegan). Un approccio all’insegna del si fa e basta, senza interrogarsi o pensarci troppo, che a collaboratori come Samara Lubelski, Keith Wood (aka Hush Arbors) e John Moloney (aka Pegasus) calza a pennello.
Se qualcuno si stesse chiedendo: ma c’è qualcosa che ricorda la Gioventù Sonica nei CLM la risposta è ovviamente si, diversi elementi. La storia di “Groovy And Linda” ad esempio, che parte come un’odissea familiare e piano piano assume i toni inquietanti e nevrotici dell’amore che finisce malissimo, le chitarre psycho-distorte di “Burroughs” e “Empires Of Time”, una “Frank O’Hara Hit” che non avrebbe sfigurato come traccia fantasma di “The Eternal”.
Ma i Light Moving sembrano più che altro un’opportunità per Mr. Moore di sfogarsi senza dover tener conto delle aspettative altrui, lontano da una storia trentennale come quella dei SY, senza essere obbligato a pensare di dover fare “un album dei Sonic Youth” o “alla Sonic Youth” o “all’altezza dei Sonic Youth” (non che si sia mai fatto degli scrupoli o dei problemi a riguardo, ma forse ogni tanto il peso della responsabilità l’ha sentito anche lui). Così si spiega il punk scherzoso di “Sleeping Where I Fall” che poi tanto scherzoso non è, o i due ““ tre accordi attorno a cui sono costruite molte canzoni o ancora il coretto super- ottimista della leggiadra “Heavenmental”: “Be a warrior, love life”. E poi, diciamolo chiaramente: Thurston si diverte come non mai col cut up spoken word di “Mohawk”, l’heavy metal di “Alighted” e l’hardcore di “Communist Eyes” (del resto il suo interesse per i singoli hc punk anni ottanta è ben noto).
“Chelsea Light Moving” è l’ennesimo tassello della carriera di Thurston Moore, un disco che va ascoltato e compreso nei suoi difetti e nei suoi pregi. Non è un lavoro omogeneo e rifinito ma segnato dall’immediatezza e dalla confusione del qui e ora. Non pretende di essere perfetto nè di innovare ma vuole colpire, dividere e conquistare. Essere amato o odiato senza mezzi termini. Lo fa con la foga e la passione dei nuovi inizi, risultando alla fine coinvolgente ma un po’ caotico. E questo è il suo maggior limite e contemporaneamente la sua bellezza.
Credit Foto: Carlos van Hijfte