La regina è tornata. “I Inside the Old Year Dying ” è il decimo album di PJ Harvey, pubblicato via Partisan Records, a sette anni di distanza da “The Hope Six Demolition Project” (nominato ai Grammy nel 2016). Prodotto dagli storici collaboratori Flood e John Parish, il disco è anticipato dal singolo “A Child’s Question, August”, pubblicato il 26 aprile 2023 ed accompagnato da un video dal tono elagiaco, diretto da Steve Gullick.
L’apertura dell’album è affidata a “Prayer at the Gate”, che prende l’ascoltatore per mano e lo trascina pian piano verso un fondo elusivo, là dove sia musica che voce dell’artista si rendono volutamente inafferrabili, sottraendosi all’orecchio in modo concentrico.
Ad allontanare il pubblico dall’incipit di “I Inside the Old Year Dying” ci pensa, per certi versi, “Autumn Term”. Messa interamente in risalto dall’alternanza di due voci che si rincorrono senza tregua, provando a completarsi l’una con l’altra per tutta la durata del brano, ” Autumn Term” lascia un senso d’incompiuto sul fondo del palato.
Notturna ed ipnotica è, invece, l’atipica ballad del disco: “Lwonesome Tonight”. Una canzone che culla ambiguamente tra parole d’amore e falsetto sottilmente accentuato. I toni, invece, si fanno più incalzanti con “Seem an I”, brano che ci fa credere di essere portatore di un cambio di rotta della linea tracciata da Harvey per il disco, spingendoci ad esplorarne un’altra dimensione più definita, che si distacca da quella più opaca dipinta finora.
Se “I Inside the Old Year Dying”, brano eponimo dell’album, è la canzone più corta del disco, “All Souls”, che segue immediatamente coi suoi quattro minuti e ventidue secondi, ne segna, invece, la più lunga. La prima, più tagliente, si trascina dietro strascichi delle atmosfere dense plasmate per “Let England Shake”. La seconda, invece, totalmente avvolta da un manto solenne, quasi biblico, si riallaccia alla volontà di modellare l’album come se fosse un’eco dei moti dell’animo, uno specchio delle profonde riflessioni dell’artista, che finalmente non devono essere più imbrigliate o ridimensionate.
In “A Child’s question, August”, Pj Harvey mette in campo l’amore, ed intonando il verso ” Love me tender, tender love” carezza l’orecchio dell’ascoltatore, sussurrandogli il più prezioso e sacro dei segreti.
In chiusura arriva “A Noiseless Noise”, unico, vero brano che scuote brutalmente il disco, disancorandolo dalla patina intima e pacata che avvolge tutto l’ultimo lavoro della musicista. La scossa è, però, solo apparenza, quasi una voluta illusione messa lì a mò di sfida personale, perché “I Inside the Old Year Dying” non torna mai davvero sui suoi passi, restando coerente ai cardini intimisti del disco.
In “I Inside the Old Year Dying”, PJ Harvey si contorce. Si riversa, lancinante ed invincibile al contempo, nel rifugio di molti temi cari e scrive tutte le tracce del disco di getto, in sole tre settimane. La ricerca di una creatività che è salvezza non è più qualcosa d’irraggiungibile, come fortemente temuto alla fine della tournée del disco precedente, ma è una corda da afferrare a due mani, e da tirare su, costantemente. È esplorazione perenne, è riconoscere il cuore di ciò che si ama veramente. Nel caso di Harvey si tratta d’intrecciare parole, immagini e musica, senza pensare al fine ultimo del prodotto commerciale da dover confezionare.
È così, in questo frangente a tratti oscuro e a tratti salvifico, che “I Inside the Old Year Dying” mette radici nell’artista, permettendo ad Harvey di confezionare un lavoro che, per la prima volta, non punta propriamente verso l’esterno, verso un vero e proprio pubblico, ma che si ripiega totalmente su sé stesso, vibrando e creando quello che la musicista definisce come:
“Uno spazio di riposo, una consolazione, un conforto, un balsamo – che sembra opportuno visti i tempi che stiamo vivendo”.