Gli Strokes sono morti e quello che ascoltiamo oggi è solo una proiezione nello spazio tempo della loro anima musicale. Certo, per essere degli zombie fuori dal cast di The Walking Dead mostrano una vitalità  notevole, vista la discreta attesa per ogni nuovo disco e la qualità  degli stessi, non eccellente ma pur sempre accettabile per una band che a mio modesto avviso è durata il breve volgere di un disco e un po’ (Room On Fire ha qualche sussulto e poco più). “Comedown Machine” non può essere definito brutto tout court, almeno nella confezione che offre un pop rock sintetico ben prodotto, scintillante e discretamente radiofonico. Ad un primo ascolto che mi ha arrecato un discreto fastidio ne sono seguiti altri meno sofferenti ed il giudizio è migliorato. Nonostante questo non sono arrivato ad una promozione piena perchè, in qualunque modo si voglia girare la frittata, questo è un lavoro insipido e discretamente inutile.

La “rivoluzione” promessa nel lontano 2001 da “Is This It” è stata un fuoco di paglia, la “nuova ondata rock’n’roll” ha infestato per un paio di stagioni gli ambienti musicali regalandoci qualche bel disco e poi è sfumata in un anonimato sempre più marcato. Nel 2013 non si sente bisogno di un disco del genere, non particolarmente brillante dal punto di vista della scrittura, che riesce ad inanellare undici brani di rock pop un po’ sintetico che strizza l’occhio agli anni ’80 e regala rarissimi sorrisi tra una discreta collezione di sbadigli. Certo, c’è bisogno di portare il piatto a tavola e gli Strokes non possono ancora permettersi di dileguarsi nel nulla, quindi ci tocca, e presumibilmente ci toccherà  anche in futuro, sorbirci qualche disco scialbo e ben confezionato che suonerà  il giusto nei circuiti giusti (Virgin Radio su tutte, tanto per dirne una).

Dopo l’ennesimo passaggio nel mio lettore mp3 non mi resta che la voglia di riascoltare quel folgorante esordio che, seppur citazionista ai limiti del plagio, è stato uno dei più divertenti, freschi e godibili schiaffoni rock degli ultimi dodici anni. E a guardarlo adesso sembra che sia accaduto in un altro mondo, in una galassia diversa e ormai irragiungibile.

Credit: Roger Woolman, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons