C’è davvero poco da dire su Kim Gordon: la settantenne nativa di Rochester, New York è una vera e propria leggenda che ha scritto trenta anni di storia della musica con i Sonic Youth, scioltisi ormai nel 2011.
Dopo la dipartita della band statunitense, Kim ha comunque proseguito la sua carriera con il progetto Body/Head insieme a Bill Nace, con qui ha pubblicato due LP, e poi ha formato i Glitterbust insieme ad Alex Knost, realizzando il loro omonimo album d’esordio nel 2016.
Un’artista completa, la Gordon inoltre ha lavorato nella moda, ha prodotto dischi, ha scritto qualche libro ed è stata anche attrice: arrivando ai giorni più recenti, invece, a ottobre 2019, via Matador Records, Kim ha pubblicato il suo debutto solista, “No Home Record“, co-prodotto da Justin Raisen (Julian Casablancas, David Bowie, Angel Olsen).
Come scriveva la collega Valentina Natale nella sua recensione del disco, questo esordio, però, non rappresenta la Los Angeles, città in cui Kim vive, delle spiagge, del mare e del sole, ma qualcosa di decisamente più oscuro, come ci farà capire tra poco durante l’ora abbondante del suo concerto.
Stasera ci troviamo al BOtanique, gradevole location outdoor situata nei Giardini Botanici dell’Università di Bologna in via Irnerio che, ormai da parecchi anni, durante l’estate, ospita numerosi concerti di artisti italiani e stranieri, organizzati da varie realtà del territorio con la collaborazione di agenzie di booking nazionali.
Mancano meno di cinque minuti alle dieci, quando la Gordon, accompagnata dalla sua band, sale sul palco della venue emiliana, davanti a un buon numero di fan che riempiono il prato del BOtanique.
Come dicevamo poco fa, la situazione qui è piuttosto cupa come dimostra l’iniziale “Sketch Artist”, opening-track anche di “No Home Record”: l’elettronica che la caratterizza è davvero pesante e buia e ci trasporta su territori industrial ipnotici e allucinogeni, caratterizzati anche da un ottimo drumming dai toni decisamenti variegati. In mezzo a tutta questa oscurità, però, si nascondono anche alcune brevi, quanto inaspettate aperture dreamy incredibilmente dolci, quasi a voler trovare un minimo di conforto in mezzo a tinte dolorose.
La successiva “Air BnB”, invece, va a calpestare terreni noise-rock, incazzati e punk e, in particolare nel coro, trova esaltanti e folli grida, che regalano al pubblico emiliano momenti di pura intensità ed energia.
Atmosfere ancora nere in “Paprika Pony”, tra synth e un drumming saltellante, in cui, però, non assistiamo ad alcuna aggressione sonora; “Don’t Play It”, invece, ha inizialmente un ritmo ipnotico, disegnato con ottime linee di basso e un drumming saltellante, ma, dopo una breve interruzione per problemi tecnici, riprende e si sposta su territori noise con grida e grande potenza chitarristica.
“Cookie Butter” poi è decisamente più noisy rispetto alla versione presente sul disco, con ritmi vorticosi, rumori di sirene e un’energia che sembra venire dal basso e le luci ipnotiche del palco fanno poi il resto.
E’ “Earthquake” a chiudere il mainset all’interno di un’atmosfera decisamente particolare nella quale, però, appaiono alcune sensazioni melodiche molto gradite, mentre Kim comunque dimostra di mettere l’anima all’interno dei suoi vocals.
Dopo un paio di minuti la Gordon e la sua band ritornano sul palco e ci pensa “Hungry Baby” ad aprire l’encore con la sua rabbia punk, le sue grida, i suoi ritmi incalzanti e un’incredibile dose di adrenalina che sa esaltare il pubblico bolognese.
Dopo la cover di “Blonde Red Head” dei DNA di Arto Lindsay, il concerto si chiude con il singolo “Grass Jeans”, uscito a fine 2021, per un’ultima grintosa botta punk piena di adrenalina, prima di lasciare spazio ad alcuni minuti di solo noise strumentale.
Poco più di un’ora vissuta con intensità per Kim che ha dimostrato ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, la sua esperienza e la sua immensa qualità: ci possiamo solo inginocchiare davanti ad artisti di questo livello.