Giocare a tennis contro un muro può essere un ottimo allenamento, anche piuttosto divertente. Alla lunga giocare a tennis contro un muro può risultare ripetitivo e fine a se stesso. Alcune band dallo stile immediatamente irriconoscibile sin dal primo disco sembrano suonare sempre per lo stesso muro, imbrigliate nel tempo in uno stile che si ripete con pochissime variazioni. Il divertimento e l’eccitazione iniziale prendono, album dopo album, le stimmate della ripetitività e del dejà vu. Sensazioni, queste, abbastanza forti dopo diversi ascolti di “Machineries Of Joy” dei British Sea Power, nuova fatica della band di Brighton che nulla aggiunge a quanto detto fino ad oggi. Ritroviamo la solita buona miscela di power pop di stampo british (come potrebbe essere altrimenti?), solennità rock à la Arcade Fire e qualche ballata melò in crescendo.
Tutto molto solido e coeso, interpretato a memoria e forse col pilota automatico che impedisce al disco di colpire in qualche modo l’immaginario dell’ascoltatore più smaliziato. Il problema principale dei British Sea Power di oggi sono i British Sea Power di sempre, che ci hanno abituato, e bene, a certe soluzioni che hanno perso lo smalto dei giorni migliori. Non basta l’epica title track posta in apertura, un’ariosa cavalcata elettrica dal ritmo circolare, neppure qualche pennellata più elegante come “What You need The Most” o “Spring Has Sprung” per conferire al disco il fascino a cui ci avevano abituato in tempi migliori. Non è una mera questione di innocenza perduta, probabilmente è solo lo sfiorire progressivo di un’ispirazione che lascia posto al mestiere.
Sarebbe comunque ingeneroso definire “Machineries Of Joy” un brutto disco. Ci sono dei passaggi più che buoni e qualche pausa di troppo, niente che sia sotto la sufficienza. Semplicemente il gioco inizia a stancare e non a sorprenderci più. D’altro canto un muro resterà sempre un muro e il suo compito resterà per sempre quello di rispedire il nostro colpo al mittente. Dopo un po’ ci si stanca e si cerca la variabile in un confronto più umano che si prenda di nuovo il rischio di provare a stupirci.