Anche nelle migliori famiglie come IFB ci sono pareri discordanti su certi dischi o certi film. Di solito ci fidiamo e accettiamo il verdetto del nostro recensore, ma per certe uscite molto importanti e in grado e di dividere la critica, abbiamo pensato a un diritto di replica, una seconda recensione che potrebbe cambiare le carte in tavola rispetto alla precedente. A voi scegliere quella che preferite…
Leggi “l’altra faccia” della recensione di “Asteroid City” di Wes Anderson
Perché chiedere qualcosa di diverso? Perché chiedere qualcosa di diverso quando un prodotto è già ben definito ed iconico così com’è? Non si sta parlando di qualcosa di astratto, ma di un segno tangibile e durevole che è il cinema. E in questo caso quello di Wes Anderson. Qui per raccontarvi un Other Side di “Asteroid City”.
Quando un regista chiama i suoi attori corrono. Quando Wes Anderson alza la cornetta tutti, e dico tutti i suoi più grandi amici e collaboratori accorrono perché di sicuro sarà una grande avventura. E nel caso di “Asteroid City” (in anteprima nei cinema italiani in questi giorni, e ufficialmente da settembre) l’avventura c’è stata eccome, e mai così divertente.
In primis, come regola, non fatevi impressionare dall’immenso cast del film. Come succede sempre, soprattutto in film corali come questo, anche i più grandi e storici attori possono avere delle piccole parti. Non a caso Jeff Goldblum si vede solo una volta, così come mamma l’ha fatto, per una manciata di secondi. Lo spettatore può essere totalmente estraniato per la quantità di stelle del cinema che ci sono e, come nel meme con Leonardo Di Caprio, il dito verso lo schermo è quasi sempre puntato.
Tante stelle e tanti livelli narrativi, per questo non bisogna distrarsi. Perché certe volte la sostanza può ingannare e sembrare superiore a quello che poi è il contenuto. Non è questo il caso. “Asteroid City” è un film di Wes Anderson e per come viene concepito un lungometraggio totalmente caricaturale del suo regista. Ma non è una novità: una volta ingranato quel percorso, non si può più tornare indietro e il marchio di fabbrica è quello che contraddistingue il prodotto.
Se un film non ha senso, per esempio, non bisogna assolutamente additare il fallimento. Perché una cosa può avere senso, anche quando non ce l’ha. In questo caso infatti, la sceneggiatura ci riporta la storia di un’opera teatrale ambientata in una città desertica dove esiste un cratere risalente all’anno 3000 A.C. E in questo piccolo villaggio, tutto ruota attorno a questo cratere. E di conseguenza anche le storie dei personaggi che si ritrovano lì, in qualche modo, vanno sempre a parare a quell’enorme buco nella terra. E come il film si rifà ad una pièce teatrale fittizia, la cui produzione viene inserita come livello narrativo nel film, anche le scene ambientate proprio nel deserto riprendono il meta-teatro che si vuole raccontare. E a questo si aggiunge una sorta di livello ancora precedente la produzione teatrale, ambientato in un arco temporale che vede la stesura della sceneggiatura da parte del personaggio interpretato da Edward Norton.
Ora, smettiamola di pensare che Wes Anderson possa essere diverso da quello che presenta al pubblico. Il suo stile rimane inconfondibile ed esteticamente appagante, superlativo e dolce in ogni minima inquadratura. La sua ironia si riflette anche nei semplici primi piani o negli zoom su determinati particolari. Questo però non toglie al contenuto della storia che, oramai lo vediamo sempre di più da qualche anno, si fa via via più intricato con i tantissimi livelli di narrazione.
Questo nuovo film corale, che novità poi non è in quello che fa, può sembrare senza senso. Eppure, e nello specifico viene detto in uno scambio di battute tra due attori, anche le cose senza senso possono essere fatte. L’importante è saper continuare a scriverne. E certe volte, e per fortuna, meno male che vediamo cose che possono non essere comprese in toto. Sta proprio lì il gioco del regista: farci arrovellare il cervello finché non troviamo una spiegazione a quello che abbiamo visto.
“Asteroid City” si presenta quindi in anteprima al pubblico italiano così come papà l’ha fatto. Senza troppi fronzoli, senza troppe metafore esistenziali da impartire. Un’ennesima grande prova tecnica e di stile del suo regista per raccontare una storia che non per forza, se vogliamo, è effettivamente tale. Certe volte quando si parla di Wes Anderson si tende, a volte anche troppo, a pensare più allo stile oramai collaudato che alla visione a 360 gradi. E questo è il caso, non soffermatevi sulle scene simmetriche dai toni caldi, non guardate alla presenza di quell’attore o di quell’attrice. Focalizzatevi sui dettagli nuovi, quelli che rendono il film diverso da tutti gli altri e che quindi sono delle trovate di genialità. Pensate al teatro dentro al teatro, pensate alla fotografia dentro ad una fotografia che, come dice Schwartzman ad un certo punto, esce sempre.