Iniziamo subito dalle presentazioni: i Current Affairs sono un gruppo composto da musicisti provenienti da varie band e che ha scelto Glasgow come centro dove far convergere la loro vena artistica. Infatti solo la frontwoman Joan Sweeney è originaria della città scozzese. Il resto della band è composto da Gemma Fleet (basso), Andrew Milk (batteria), entrambi londinesi e dal chitarrista cileno Sebastian Ymai che attualmente vive a Berlino. Nel 2019 pubblicaro il primo EP e nell’autunno dello stesso anno uscì “Object & Subject”, la raccolta dei brani pubblicati in quei mesi.
“Off The Tongue” è da considerarsi quindi il loro debutto ufficiale, album che si compone di dieci brani uscito per l’etichetta londinese Tough Love Records.
Joan Sweeney non ha di certo vissuto il periodo pandemico come una vacanza rilassante. La possiamo considerare come il collante della band, presente sin dall’inizio, ha tenuto i contatti fra i vari componenti che hanno attivamente partecipato alla composizioni dei brani, scambiandosi demo e idee nonostante il distacco fisico. Joan è autrice dei testi e nel disco troviamo molti temi trattati, dall’amore in tutte le sue sfaccettature alle tematiche sociali e di comunità.
Estimatrice dei Wipers e di Greg Sage, Joan ha una tonalità e un modo di esprimersi vocalmente che l’avvicina a Siouxsie Sioux e questa somiglianza è amplificata anche dai brani che la band compone, molto ispirata al post punk della band londinese.
Capaci di sperimentare restando in uno spazio avvezzo alle melodie, i Current Affairs colpiscono il bersaglio sin dal primo brano “No Fuss”, una canzone d’amore carica d’energia che ha la funzione di calamitare coloro che amano sonorità e atmosfere irrequiete, nervose e a tratti angoscianti. Il ritmo incalzante di “Reactor” ben si sposa con la tenebrosa “Riled”. Il surfin’ psichedelico di “Get Wrecked” da ricordare per il suo finale isterico, ipnotico e stravagante precede “Regardless”, una piccola perla di pop fresco e immediato che per qualche minuto ci proietta dall’altra parte dell’oceano, mentre al Max’s Kansas City di New York, Deborah Harry con i suoi Blondie ammalia e incanta i fortunati spettatori.
L’album si chiude con due gemme: “Big Limit” con il suo ritornello da scolpire sulla superficie di una pietra granitica a futura testimonianza di quello che fu il post punk prima che l’intelligenza artificiale prese il comando dell’umanità iniziando, prepotentemente, a comporre musica. La seconda gemma “Her Own Private Multiverse” è semplicemente geniale, lavoro della chitarra sublime, la voce di Joan trova tonalità e melodie distorte che ti appiccicano al brano come un povero topolino caduto nella trappola. Il finale del brano è il fatidico tocco di classe che chiude un album decisamente godibile, suonato con professionalità e passione.