Di Enrico Sciarrone
Prima di addentrarci nel dettaglio di quanto accaduto nel main stage in Piazza Castello nel corso della terza serata, mi sembra doveroso sottolineare ancora una volta la qualità e la sostanza delle band, protagoniste dell’Ypsi & love stage, kermesse pomeridiana che si svolge nel Chiostro di San Francesco, che davvero non avrebbero sfigurato (a mio parere) sul palco principale. Se venerdi avevamo apprezzato la sperimentalità creativa sia di Helen Gaya che dei Juno Francis, ieri siamo saliti decisamente di livello con le strepitose performance sia dei Plastic Mermaids, provenienti da un luogo dove i festival ce li hanno nel sangue come l’isola di Wight, con il loro sound che abbraccia con grazia elettronica, psichedelia, rock sia dei King Hannah, una delle maggiori sorprese musicali dell’anno con il loro strepitoso album”I am not sorry I was just being me” acclamato dalla critica per la straordinaria potenzialità, capace di abbracciare confini musicali inaspettati, non limitabili solo all’inevitabile riferimento ai Portishead a cui la band sembra ispirarsi. C’e di più e lo dimostrano con un live trascinante che ha coinvolto pienamente il pubblico presente.
La serata al Castello potremmo definirla una sorta di spartiacque tra quanto ha caratterizzato le prime due giornate con un offerta improntata decisamente al rock (spaziando sui sottogeneri come il post-punk, alternative rock, shoegaze) e una decisa virata verso sonorità più elettroniche e tecno sperimentali.
Prima però che questo cambio di direzione avvenga, tocca ai belgi The Haunted Youth aprire la serata dando continuità all’onda rock del festival dei giorni scorsi. Assoluta novità del panorama indie musicale, divenuta band di culto con il loro primo lavoro” Dawn of the freak”, ci hanno proposto il loro personale shoegaze influenzato dall’ascolto dei giganti del passato (Slowdive, MBV) ma anche chiari riferimenti al presente come i DIIV. La performance è veramente tirata, quasi una corsa tutta d’un fiato fatta insieme al pubblico. Energici.
Che qualcosa stia cambiando nel mood della serata, lo si può intuire con l’avvento sul palco dei londinesi Still Corners, band consolidata da circa un decennio di attività con un ultimo lavoro, “The last exit”, proposto questa sera che sancisce una sorta di abbandono degli stessi dalle sonorità dream pop degli inizi verso territori più psichedelici e folk. Seppur infatti in presenza di una voce carezzevole come quella della cantante Tessa Murray e l’uso massiccio di sinth, emergono preponderanti le sonorità di una chitarra ricca di riverberi ed echi del sodale polistrumentista Greg Hughes a sancire questa evoluzione. Molto intimi e coinvolgenti. Non passatemi per guardone, ma è stato particolare vedere tanta gente “limonare” durante l’esibizione e sicuramente non perché si stessero annoiando, no, tutt’altro, avevano trovato il mood adatto. Buon segno.
Tempo di riprendersi un attimo e si cambia decisamente registro. Sono di scena gli Hbov, duo viennese composto da Anna Muller e Paul Wallner, autentico protagonista della scena elettronica. Si fanno apprezzare per una performance molto ricercata, sobria e minimalista. I brani infatti sono costruiti rigorosamente associandoli alla voce profonda della cantante così da risultare accattivanti e mai stancanti o ripetitivi. Particolare degno di nota : la scelta della band di usare una batteria per le parti ritmiche anziché avvalersi dei beats da computer. Il combo è veramente collaudato e la scelta risulta veramente azzeccata.
Siamo all’epilogo della serata e forse non solo di questa. Gli headliner The comet is Coming, trio londinese, rappresentanti di un nuovo modo di fare jazz aperto a tutte le contaminazioni, che salgono sul palco a mezzanotte inoltrata hanno già dichiarato nei mesi scorsi di voler porre fine alla loro esperienza musicale comune per volontà dei singoli membri, volenterosi di dedicarsi a progetti solisti al termine di questa stagione estiva fatta di partecipazioni ai vari festival in Europa. Detto questo, la band non è sembrata affatto in disarmo e ha sfoderato una performance estremamente interessante che ha suscitato curiosità anche a chi non è amante del genere. Una nuova idea di jazz, dicevamo, dinamico, slegato da vincoli, che si muove liberamente tra i confini dell’elettronica, del dub dove un sax suonato con una tecnica del tutto particolare in forma ” ritmata” sta perfettamente in linea con le parti ritmiche dei synth e della batteria (anche qui presente, no beats da pc), il tutto in un susseguirsi poi di assoli che esaltavano le sonorità di ogni strumento. L’assoluta originalità e validità del progetto non fa che aumentare il rammarico del pubblico per una decisione che, chissà, magari sarà solo temporanea. Per ora lasciateci dire che ci mancheranno.