The wisdom teeth are out, what you’re on about?
E dunque questo 2013 segna anche il ritorno di quei gran mattacchioni preppy dei Vampire Weekend. O forse dovremmo chiamarli ex mattacchioni (sempre preppy sono”…)? L’arrivederci di “Contra” era stata la rarefatta e tutt’altro che festaiola titletrack, e proprio da quelle rarefazioni prende vita anche “Modern Vampires Of The City”, nella mongolfiera sospesa sul mare di “Obvious Bicycle” a metà tra una “We No Who U R” di Nick Cave and The Bad Seeds e una “The Birds” dei Coldplay, seppur con vuoti d’aria che la fanno sobbalzare quel tanto che basta a provocare una leggera vertigine. Malinconie e speranze, velata tristezza e leggerezza.
Prima la copertina in bianco e nero e poi una delle due anteprime dateci in pasto, “Step”, avevano fatto capire che con tutta probabilità i tempi dei festini da fine anno al college erano ormai alle spalle e che i denti del giudizio son caduti (ecco, il dente ce lo togliamo noi ora e pronunciamo l’odiosa parola “maturità “?). Insomma, a parte l’altro assaggio, l’ottimo ibrido tra indie e rockabilly senza dimenticare il marchio di fabbrica afro-like “Diane Young”, nella terza fatica dei newyorkesi non c’è quasi traccia di scazzo in stile “Holiday” o “Cousins”. A sugellare la bontà di tali affermazioni ci ha pensato lo stesso Ezra Koenig, il quale ha dichiarato che l’album sarebbe stato influenzato, tra le altre cose, da jazz e musica classica. è proprio così?
è proprio così. Sebbene sarebbe da strapazzi e intellettualoidi da quattro soldi dire che “Modern Vampires”…” sia un lavoro costruito su imponenti architetture contrabbasso-sassofono (anche se a dir la verità un sassofono fa davvero capolino) e suite per piano, ottoni e fiati, un fondo di verità nelle parole del Koenig c’è. L’impressione che si ha del buon Ezra è quella non più del cantante leggermente alticcio (ma sempre con la camicia ben abbottonata) al party di fine anno di cui sopra, ma quella ““ che so ““ di un professore o addirittura rettore di un’università che scruta la fumosa City dell’artwork, dietro la finestra del suo studio, pipa in bocca, occhiali tondi, gilet, qualche ruga e un accenno di pizzetto. Mi viene facile immaginarmelo così nella succitata “Obvious Bicycle”, in “Hanna Hunt”, nel mini-mantra finale “Young Lion” (i brani in cui l’impronta delle dita è ben visibile sui tasti impolverati di un pianoforte) e nella lievemente straniante “Hudson”.
Non che Paul Simon sia stato dimenticato del tutto, attenzione: il suo santino è in bella vista in “Finger Back”, reminiscenza del primo omonimo disco dei Nostri, e “Worship You”. Però a colpire di “Modern Vampires”…” è, appunto, il moderno (che poi sarebbe il classico): il nuovo approccio non più teen ma adulto sia nell’aspetto strumentale, spesso orchestrale (e addirittura sottilmente epico in “Unbelievers”, con quegli accordi pianistici crescenti che fanno tanto “Crown Of Love” degli Arcade Fire) sia in quello lirico (ci son disseminati svariati accenni alla religione e la stessa voce di Koenig è spesso e volentieri più “grave”, riflessiva e a tratti da crooner). Per dire, anche le stesse “Finger Back” e “Worship You” vivono di una misura, di un’accortezza nel non eccedere, di un’ariosità di fondo di quelle che basta tanto così in più per ritrovarti in una casbah di Tunisi durante il mercato settimanale.
I Vampiri moderni, quindi, innanzitutto moderni non sono; sono meno diurni e più notturni, senza per questo rinnegare i vecchi tempi (il miglior riassunto delle sonorità del disco lo si può ascoltare in “Ya Hey”). Dei Vampiri più quieti, che alla loro formula hanno aggiunto una interessantissima e godibilissima componente retrò-retrò senza perdere nulla (anzi direi proprio guadagnando ulteriormente) in quella leggerezza che ti consente di ascoltare un album enne volte e apprezzarne pian piano minuscole sfumature diverse.
Chi scrive è rimasto vittima, ai primi ascolti, di una nera delusione (roba probabilmente di contingente affezione ad altre sonorità ), ma che si è domandato se in realtà si trattasse di album semplicemente insipido o subdolo. Ebbene, i molteplici successivi giri hanno cantato (e cantano tuttora) a gran voce che si tratta di un album subdolo. Molto subdolo. Di quelli che a un certo punto ti riesce difficile farne a meno.
Bravissimi.
Foto Credit: Alex John Beck