Una sorta di colonna sonora immaginaria creata ad hoc per uno spaghetti western andato perduto nel tempo. Si presenta pressappoco così il nuovo (doppio) album dei The Coral, “Sea Of Mirros & Holy Joe’s Coral Island Medicine Show”. Un mare di specchi, per l’appunto. Del resto, l’universo musicale di James Skelly e soci, è sempre stato questo, una certa delicatezza poetica sommata all’amore della band del Merseyside per il jangle pop dal sapore vintage. “Wild Bird”, primo assaggio del disco, suona proprio come uno potrebbe aspettarselo: arioso, cinematografico, confortevole come una passeggiata autunnale. Stando ad alcune dichiarazioni rilasciate dallo stesso Skelly, il brano è stato scritto in cinque minuti, accompagnato da un’insaziabile sete melodica e dall’ispirazione del (grande) cinema italiano di una volta, vedere alla voci “Ennio Morricone” e “Federico Fellini“.
Lampi di genio e passaggi un po’ più complessi. Si sviluppano così la maggior parte dei pezzi che compongono l’ultima fatica dei The Coral, come un’eterna partita a scacchi fra aspirazione ed urgenza creativa. Poco male. Perché a riequilibrare il tutto con sapienza, ci ha pensato Sean O’Hagan, producer e deus ex machina del disco. Già, perché è proprio da un’idea di O’Hagan che è nata la bella collaborazione con Cillian Murphy, star di “Oppenheimer”. L’attore irlandese (grande fan della band britannica), infatti, è presente attraverso un cameo vocale nell’ultima traccia dell’album, quella “Oceans Apart” che ha già le stimmate dell’instant classic. E se con “That’s Where She Belongs” i The Coral stanno lì a sottolinearci come si possano coniugare qualità e sostanza, in “Cycles Of The Seasons” l’eco dei Beatles è fin troppo evidente. Ad ogni modo, le orchestrazioni presenti in “Sea Of Mirros & Holy Joe’s Coral Island Medicine Show”, non risultano mai banali o fuori contesto.
Anzi. Arricchiscono con estremo gusto il campionario sonoro di cinque musicisti che sanno il fatto loro. Cinque più uno, in realtà. Perché fra i crediti dell’album appare pure il nome dell’ex membro (nonché co-fondatore) della band, Bill Rider-Jones. “North Wind” è uno spettrale tunnel di sintetizzatori che echeggia nell’aria come un petricore pomeridiano, mentre “Dream River” è prodotta così bene da sembrare quasi un trattato scientifico sulle buone canzoni e la loro costruzione.
“Holy Joe’s Coral Island Medicine Show”, la seconda parte del disco (pubblicata solo fisicamente), è un mix di atmosfere cupe e canzoni in odor di morte. In pratica, un omaggio a cuore aperto nei confronti delle murder-ballads. Passate e presenti. I personaggi che le animano, crepuscolari e persi, stagnano ai margini della società. Si tratta, infatti, di storie un pò maledette incentrate su vagabondi, assassini, truffatori, gangster.
Non sono ritornati per spadroneggiare nelle charts, i The Coral. Non è mai stato questo il loro intento. Nemmeno ai tempi di “In The Morning”. Tutt’altro. Skelly and company sono lì a dimostrarci quanto la bellezza sia un fattore oggettivamente soggettivo. Infinitamente imperfetto. E proprio per questo, da ricercare nella preziosità dei piccoli dettagli. Un po’ come in “Sea Of Mirrors & Holy Joe’s Coral Island Medicine Show”. Un lavoro maturo, coerente, piacevolmente maniacale, quasi da artigiani delle sette note. Cosa chiedere di più?