Il 28 settembre 1993 i Paradise Lost pubblicano il primo album davvero importante della loro carriera. Con “Icon”, infatti, la band britannica chiude i conti con il sound estremo degli esordi per dare ampio sfogo a una sensibilità melodica che, di lì a un paio di anni, sarebbe letteralmente esplosa nel meraviglioso “Draconian Times”.

Pur essendo ancora radicato nella tradizionale pesantezza del doom metal, “Icon” mostra un lato più raffinato e maturo del quintetto di Halifax. Nick Holmes abbandona il growl per sfoggiare un cantato potente ed epico, in uno stile che ricorda da vicino quello di James Hetfield dei Metallica. Il chitarrista e principale autore dei brani, Gregor Mackintosh, sfrutta a dovere le innumerevoli potenzialità della sei corde per dar forma a composizioni dal gusto malinconico, oscuro ed elegante. In una parola: gotico.

Il gothic metal come lo conosciamo oggi non nasce solo con “Icon”. Questo lavoro dei Paradise Lost rappresenta però uno dei picchi massimi del genere. L’album ha certamente avuto un peso enorme nel plasmare lo stile negli anni a venire, influenzando in maniera decisiva gruppi come Katatonia, My Dying Bride e Anathema.

Dalle tredici tracce di “Icon” emerge con forza impressionante il talento di Holmes e compagni, all’epoca ragazzi di poco più di vent’anni. L’abilità dei chitarristi Gregor Mackintosh e Aaron Aedy sta nel creare atmosfere squisitamente gotiche dalla semplice unione di riff sabbathiani (spesso complessi e serratissimi) e note lunghe che si protraggono nello spazio. Un continuo rincorrersi di chiusure e aperture di suono che rende incredibilmente suggestive canzoni possenti ma mai ampollose.

I Paradise Lost di “Icon” diluiscono il death-doom dei loro fortunati esordi in un miscuglio melodico dal sapore romantico/metallico. Da un’originale fusione di influenze musicali che vanno dai Celtic Frost ai Sisters Of Mercy emergono in maniera non ancora nitidissima le prime avvisaglie di un certo fascino per la new wave più amara e darkeggiante.

Nell’autunno del 1993 i tempi della svolta synth-pop di “Host” sembrano ancora lontanissimi. Di elettronico non c’è praticamente nulla in questo disco, a esclusione di qualche tastiera utilizzata giusto per aggiungere leggerissimi ma incisivi tocchi orchestrali a “Embers Fire” e “Dying Freedom”. Lo strumento principe di “Icon” è la chitarra elettrica, protagonista incontrastata sia nella grandiosità glaciale e disperata di “Joys Of The Emptiness”, “Colossal Rains” e “Christendom”, sia nella triste rabbia che è alla base di alcuni tra i brani più d’impatto di “Icon” (“Remembrance”, “Widow”, “Weeping Words”, “Shallow Seasons”).

Il breve assolo che apre la magistrale “True Belief” raccoglie l’essenza stessa del disco: pochissime note ma tutte messe al posto giusto, in un prodigioso equilibrio tra gli elementi pesanti e quelli melodici. In una manciata di secondi si respira aria di tragedia, mistero e romanticismo. Per i Paradise Lost targati 1993 lo stile gotico non ha segreti; godono di un potere musicale sconfinato che gli permette di regalare emozioni senza sosta. Poco importa che si tratti di dramma o amore, di carezze o schiaffi: “Icon” è un balsamo per l’anima trafitta dal dolore.

Data di pubblicazione: 28 settembre 1993
Tracce: 13
Lunghezza: 50:32
Etichetta: Music For Nations
Produttore: Simon Efemey
Tracklist:

Embers Fire
Remembrance
Forging Sympathy
Joys Of The Emptiness
Dying Freedom
Widow
Colossal Rains
Weeping Words
Poison
True Belief
Shallow Seasons
Christendom
Deus Misereatur