L’intramontabile fascino del “power duo”, un viaggio “decisivo” in Giappone, solidissime radici punk-blues, coerenza artistica e musicale: signore e signori, ecco a voi il (bel) ritorno dei Little Boys. “Ricordati Che Devi Morire” – questo il titolo della nuova fatica discografica dei nostri – rappresenta un po’ il sunto (artistico e musicale) di tutti quegli step superati, sin qui, da Laura “Elle” Bertone (singer) e Sergio “Esse” Pirotta (batteria) per raggiungere il “Sacro Graal” tanto agognato da ogni musicista del globo terrestre.
Vale a dire una vision ribelle che riesca a guardare ben al di là degli schemi (sonori) prestabiliti. Si tratta, infatti, di un disco stiloso, tiratissimo, in cui i Little Boys confermano le già ottime premesse dell’album precedente (“Little Boys”). Anticipato dal singolo omonimo, “Ricordati Che Devi Morire” è un viaggio catartico in un universo chitarroso dove la realtà – a volte amara – dei nostri tempi viene raccontata attraverso delle pillole di sfavillante sontuosità (blues) rock. Come nel caso della traccia numero tre, “Una Rivale”, pezzo(ne) che, almeno per chi scrive, andrebbe piazzato – senza alcun tentennamento – fra gli instant classic della band.
Elle ed Esse, tra l’altro, sono riusciti a scalare persino le invalicabili charts nipponiche. Non un’impresa da poco. In tal senso, nella tracklist del disco compare pure un brano cantato proprio in lingua giapponese, “SATSUGAI”, che non guasterebbe in un’opera cinematografica del vecchio Quentin Tarantino (alzi la mano chi, ascoltandola, non ha subito pensato a “Kill Bill”). “Genealogia Dell’Amore”, invece, si affaccia dalle parti del post-punk più ottantiano spingendolo, però, verso territori dannatamente moderni, in cui il cantato incisivo di Laura Bertone veleggia al di sopra di un ottimo guitar-riff.
“Fetish” possiede un ritornello piuttosto incisivo ed un testo fra i migliori del lotto. Versi come “nella pace, nel mio nero, resti appeso a un filo…” appaiono più come un geniale manifesto filosofico che come le lyrics spietate di una canzone rock. Del resto, è proprio questo il sapore gustoso dello “charme” sfoggiato dal duo lombardo in “Ricordati Che Devi Morire”. Andare oltre i confini limitanti del già sentito; spingere al massimo il pedale dell’urgenza comunicativa per arrivare dritti al punto. Percorrere le strade coraggiose di un’ispirazione mai fine a sé stessa.
E la splendida ballad finale, “Ho Bisogno Di Te”, va a concludere degnamente un album che potrebbe fungere da ricettario per tutti coloro che sono in cerca di ingredienti utili alla realizzazione di un disco punk-blues-rock con i controfiocchi. Provando ad enfatizzare maggiormente il concetto – impelagandoci in una specie di paragone motoristico – potremmo definire “Ricordati Che Devi Morire” come il sorpasso da Formula Uno effettuato dai Little Boys a certa musica (opaca) del belpaese. Un po’ come quando Ayrton Senna riuscì (finalmente) a scalzare Alain Prost.
Anche questa è Arte.