Ritorna il post-rock generazionale de I Botanici. Quattro anni dopo “Origami”, infatti, la band sannita pubblica – per Garrincha Dischi – il nuovo album intitolato proprio “I Botanici”. Si tratta di un disco tirato, tiratissimo, che in qualche modo vuole rappresentare l’evoluzione del gruppo di Benevento.
Mica male. “Cose Superflue”, per esempio, gira intorno ad un riff dall’incedere epico che rimanda alle sonorità internazionali della scena alternative mondiale. “Margherita”, invece, si muove su dei territori maggiormente pop-rock ma con uno dei testi più incisivi di questo self-titled album. Volevano realizzare una sorta di lavoro corale, I Botanici. E ci sono decisamente riusciti.
Del resto, si tratta di un disco che oltre alla stessa band, vede alla produzione Alberto “Bebo” Guidetti de Lo Stato Sociale, già producer, tra l’altro, dei precedenti album in studio del gruppo. Ad Antonio Del Donno e soci, non piace essere risucchiati in un unico scenario. Il sound de I Botanici, infatti, oltre ad essere piuttosto variegato, è pieno di sfumature che – solo in apparenza – possono sembrare di facile presa. O, per lo meno, ad un (primo) ascolto distratto.
Non è forse questa una delle peculiarità più difficili da riscontrare all’interno del percorso di una band? Far sembrare “easy” le cose difficili. Un pò quel che avviene ai grandi talenti del Calcio e dello sport in generale. E di talento compositivo, I Botanici, ne hanno da vendere. Basti ascoltare la delicatezza quasi eterea di una ballad come “Distratto” o la contagiosità rockettara di un pezzo come “Un Posto Bellissimo”, dove i Nostri danno sfoggio di grande istinto autorale.
È una specie di ibrido il background sonoro de I Botanici. Un ibrido di gran classe, però. Negli undici brani che compongono la tracklist del loro disco omonimo, si spazia dal (già citato) post-rock al math, passando per l’emo ed il jazz d’autore. “Grandina” rappresenta la dignitosa chiusura di un album – e di un cerchio musicale – che trasporta l’ascoltatore nei meandri più raffinati di certa musica italiana che non avrebbe nulla da invidiare alle blasonate produzioni d’oltreoceano.
Il solo di tromba di Giovanni Tamburini presente in “Øens Have”, forse, è il biglietto da visita più cool di un disco piacevolissimo e dannatamente godibile. E a proposito del “talento” sopraccitato, questa volta, I Botanici, hanno realizzato un (per nulla scontato) canestro da tre punti.
Bravi.