Accreditati insieme ai Sonic Youth e agli Swans di Michael Gira, come dei pionieri o padri di un certo noise rock, antesignano dell’indie più moderno, i Live Skull debuttarono nel 1982, per poi sciogliersi all’inizio degli anni novanta, quindi riformarsi nel 2016.
In line up, sebbene per un periodo circoscritto, anche Thalia Zedek, storica leader dei Come e veterana icona della scena underground newyorkese.
Tra l’altro hanno licenziato gli album della post reunion, per la nostrana Bronson Recording, label legata allo storico locale ravennate, nella cui versione estiva, all’Hana-Bi, si svolgono decine di concerti e soprattutto, per chi non lo sapesse ancora, l’eccellente festival Beaches Brew, fiore all’occhiello dell’estate italiana.
Sono nel nostro paese per un paio di concerti, al locale di famiglia, il Bronson appunto e stasera all’Arci Bellezza, qui per presentare l’ultima fatica sulla lunga distanza “Party Zero”, uscita nel 2023, a tre anni dal precedente lavoro in studio.
Siamo di fronte davvero ad un pezzo di storia della musica fatta in un certo modo, con le chitarre primedonne e protagoniste di un sound sempre più d’altri tempi.
Set e palco allestito nella seconda sala dell’Arci Bellezza, la Palestra Visconti; va segnalata una discreta affluenza di pubblico per una serata di grande musica, di quelle importanti.
Apertura affidata ad un nuovo collettivo milanese Lasael, che si meritano tutti gli applausi del caso, fanno un set di circa mezz’ora o giù di lì, tra reminiscenze gotiche, una certa ossessività chitarristica presa in prestito dal succitato Michael Gira, oggettivamente una bella sorpresa, inaspettatamente forza giovane al servizio di musica fuori dal mondo.
Tempo di un cambio palco repentino, partono i Live Skull, attese confermate a dovere, il classico concerto underground di una certo indie-rock che ha fatto, davvero, scuola, batteria, basso, due chitarre ad intrecciarsi, un pizzico di suoni sintetici e canzoni senza fronzoli, pescate soprattutto dalle ultime fatiche, ma c’è spazio anche per episodi del “first goverment” come ha detto bene Mark C., leader e fondatore dal giorno zero.
L’attitudine dei grandi gruppi, che non badano a spese per un concerto lungo, senza risparmiarsi, con la voglia di suonare a denti stretti.
Si parte proprio con “Debbie’s Headache” dal lontano 1987, per passare all’ottima “Magic Consciousness” da “Party Zero”, che è un disco di spessore, sicuramente passato in sordina, dove convive il sapore delle chitarre dei tempi migliori e una certa e confermata scrittura di livello, penso anche alla stessa “Mad Kingship” o all’accoppiata “Neutrelize The Outliers” e “Turn Up The Static”, quest’ultime più punk e concise cantate da Dave Hollinghurst, chitarrista che ha raggiunto il collettivo newyorkese, giusto prima del covid.
C’è spazio anche per “Machete” sempre dallo storico “Dusted” del 1987, ma, in generale, non c’è un attimo di tregua dall’inizio alla fine, vince la sincera passione di portare avanti un messaggio sempre e solo inattaccabile e di grande qualità.