Mike Deni, alias Geographer, è davvero un artista sui generis. Nella migliore accezione possibile, naturalmente. Nel suo ultimo album, “A Mirror Brightly”, convivono più generi musicali, anche molto diversi tra loro. Si spazia, infatti, dal cosiddetto “City Pop” giapponese di matrice Anni Ottanta, a dei brani impregnati di una delicatezza sottile che è allo stesso tempo malinconica ed elegante.
Per chi scrive, intervistarlo è stato come sbirciare all’interno di un universo fatto di luci al neon e poesia metropolitana. Già. Perché le canzoni di Geographer sono delle vere e proprie gemme indie-pop intrise di vita vissuta e di parole che verniciano l’aria di stupore e magia.
Del resto, basta ascoltare pezzi quali “Van Halen” o la stessa “The Light In The Dark” per rendersi conto di trovarsi di fronte ad un artista completo, poliedrico, dannatamente enigmatico e per questo, ancor più interessante. Di seguito, la nostra chiacchierata con Mike.
Ciao Mike! Lasciami dire che da “fan” della musica di Geographer è un vero piacere parlare con te…
Questo è veramente incredibile! Una persona Italiana che ha ascoltato la mia musica. Ho studiato
all’università di Ferrara per un semestre e mi sono innamorato dell’Italia. Ci torno spesso, e il
mio sogno è di fare un concerto lì. Ad ogni modo, il mio italiano non è così buono!
Ascoltando la tua musica, ho sempre notato due livelli: quello più “superficiale” ed uno più profondo. Come riesci a farli coesistere tra loro?
C’è davvero una dicotomia nelle mie canzoni, spesso un arrangiamento edificante abbinato ad un arrangiamento triste e
testi ponderosi. All’inizio pensavo che fosse davvero strano, ma mi piace il modo in cui rappresenta la realtà, la vita. Ci sentiamo tutti tristi e felici allo stesso tempo. Raramente siamo solo tristi o semplicemente felici. E mi piace che le mie canzoni esprimano la pienezza della vita. A volte mi concentro solo su un aspetto, ma è molto difficile per me in realtà. Non posso resistere a complicare un’idea. Devo scrutare le altre porte nel corridoio. Se comincio a scrivere una canzone d’amore, alla fine mi ritroverò a esaminare il concetto dell’amore stesso e poi la natura delle relazioni e le loro insidie.
“Van Halen”, per esempio, appare decisamente più personale di quanto possa sembrare ad un primo ascolto…
Sì. Vale un po’ lo stesso discorso fatto prima. È molto raro per me scrivere una canzone semplice di valore nominale. Certamente impedisce alle mie canzoni di diventare qualcosa come i film, ma io penso solo che le canzoni dovrebbero essere complicate. Non ho molto interesse a fare una cosa semplice, un pezzo di musica che alla fine sia la stessa cosa che sapeva all’inizio.
Parlando dell’album, invece, “A Mirror Brightly” è un titolo magnificamente evocativo. Sembra quasi uscito dagli Anni Ottanta…
Assolutamente sì! Mentre lo realizzavo mi piaceva molto un particolare tipo di musica degli anni ’80, un qualcosa da “sofisti-pop”. Mi riferisco a band come Prefab Sprout e The Blue Nile. Alta arte espressa attraverso un sintetizzatore. Non semplice, ma anche non eccessivamente faticosa. Mi piace molto pure l’immaginario (musicale) tedesco dei 70s.
Per quanto riguarda gli 80s, so che sei un grande fan del cosiddetto “City Pop” giapponese e della serie Netflix, “Dark”. Quanto ti hanno ispirato durante la lavorazione dell’album?
Oh si! Il city pop è così affascinante! Ancora non lo capisco del tutto. Perché ha questa lucentezza che dovrebbe renderlo banale, ma c’è una profondità implicita in esso. È come se l’intero genere stesso, la scelta di realizzare una canzone di quel genere è dovuta alla profondità stessa. È in corso una ricca rivisitazione di quella musica, e la trovo infinitamente confusa e deliziosa. E “Dark” è così sorprendente. io amo tutto ciò che riflette sulla natura dell’esistenza. E vorrei dire così tanto ma non voglio rovinarlo a chiunque. Ma sì, ero ossessionato da quella serie. Ah! Se ti piacciono domande come “chi sono io e perché sono qui” è come un pasto di cinque portate in un ristorante stellato Michelin.
Ascoltando “A Mirror Brightly” credo che tu abbia trovato una tua cifra stilistica. Come se esistesse una sorta di genere musicale che è soltanto tuo. Non solo. Magari c’è qualcuno lì fuori che viene ispirato da essa. Che effetto ti fa? E quali sono stati i tuoi idoli?
Questo è davvero qualcosa che mi lascia a bocca aperta. Quando qualcuno mi dice che è influenzato dal mio lavoro, non posso crederci, perché mi considero uno studente o una cosa del genere. Imparo sempre, sempre. Mi avvicino sempre più ad esprimermi nel modo che voglio, ma non ci riesco mai del tutto. Ma pensare che le briciole che lascio lungo il cammino vengano raccolte da qualcun altro, mi mette nella posizione delle persone che idolatro e non riesco a pensare a niente di più incoraggiante di quel qualcuno che si connetterebbe con la mia creazione tanto quanto mi connetto io con Bruce Springsteen o Paul Simon.
I miei idoli, i personaggi che ammiro di più, sono Paul Siimon, Bruce Springsteen, Thom Yorke, Jonii Mitchell, Cat Stevens e James Taylor. Mi meraviglio della loro abilità. Sento che sono nati davvero con un qualcosa di più speciale rispetto a tutti noi. Il loro cervello, le loro scelte. Sono collegati a qualcosa, e le loro capacità corrispondono alle loro ambizioni. Ho appena parlato con qualcuno stasera al tavolo del merchandise, dopo il mio show. A dire il vero diceva che ero una grande fonte d’ispirazione per la loro musica. E questo genere di cose davvero mi aiuta quando mi sento perso e insicuro riguardo a ciò su cui sto lavorando. Mi dà molto fiducia per andare avanti, per provare qualcosa di nuovo. Perché non ho sempre idea di chi sono e di cosa sto facendo. Mi piace rimanere al limite delle mie capacità e può essere davvero spaventoso provare a fare qualcosa che spacchi la montagna, che riveli la cucitura dell’oro. È uno sforzo insensato, e ho bisogno di tutto l’incoraggiamento possibile.
Un’ultima domanda: se tu dovessi descrivere la tua musica con un aggettivo a chi ancora non la conosce, come la definiresti?
Oh, come hai potuto!! Hai già visto quanto sono prolisso! Ma ci proverò. Direi, “rara”. Nel senso di un luogo spesso trascurato o irraggiungibile. Non prezioso, semplicemente non bazzicato spesso. Ecco.
Ringraziandoti di questa chiacchierata, Mike, da grande appassionato di NFL quale sono, non posso non chiederti quale team avresti preferito che vincesse durante l’ultimo Superbowl…
Ahahah, sai che non mi piace per niente il Football?! Non sono un grande appassionato di Sport e non seguo molto l’NFL. Non ho mai idea di quando si tenga il Superbowl fino al giorno in cui contatto i miei amici (per organizzare qualcosa insieme) e loro mi rispondono che è il giorno del Superbowl. Così loro ridono di me ed io rido di loro…