Dopo l’entusiasmo con cui abbiamo assistito al Primavera Sound di Barcellona l’anno scorso, non potevamo non tornare, soprattutto dopo aver visto nomi come i Vampire Weekend nella line up. Sono state diverse le mancate partecipazioni (e mancate sostituzioni, purtroppo), come quella di Kim Petras, FKA Twigs (per la seconda volta! L’edizione del 2025 sarà la volta buona, magari?) e Daniela Lalita – e l’indimenticabile Steve Albini, che con gli Shellac avrebbe dovuto portare dal vivo il nuovo disco “To All Trains”.
Per ricordare l’iconico produttore il festival ha inaugurato il palco “Steve Albini”, celebrando anche gli Shellac con un listening party: un palco adornato di strumenti non suonati con un mazzo di fiori a lato, mentre la musica rimbomba nell’aria. La speranza di vedere Albini salire sul palco e la seguente realizzazione fanno male, ma scalda il cuore vedere che l’amore per un’icona di questo calibro resiste e persiste.
Tra i momenti clou della prima giornata di questo intenso weekend troviamo anche i Balming Tiger, che non a caso vi abbiamo suggerito di tenere d’occhio: non solo il loro album “January Never Dies” è molto interessante, ma il collettivo riesce a trasmettere un’energia unica dal vivo, facendo saltare il pubblico in continuazione – soprattutto su “Pop The Tag”, traccia da solista di Omega Sapien, un rapper del gruppo. Questo è forse uno degli aspetti più intriganti dei Balming Tiger: da Omega Sapien ad Abyss, ogni membro ha un’identità e uno stile ben definiti, addirittura un nome d’arte ciascuno; ogni volta che creano qualcosa sotto il nome di Balming Tiger, però, creano qualcosa di diverso pur tenendo bene in chiaro chi e come sono come singoli. Si esaltano e risaltano a vicenda, sotto il nome di un progetto a cui auguriamo solo il meglio. Approvatissimi.
Non potevamo perderci poi gli Arab Strap: avevamo già avuto il piacere di vedere Moffat e Middleton due anni fa al TOdays Festival, ma dopo l’uscita di quel gioiellino che è il nuovo album la curiosità di sentirla dal vivo era troppa, e abbiamo fatto bene: il risultato è stato un gran bel live che ha visto il coinvolgimento di un pubblico affollato quanto stremato da un sole cocente – ma non per questo meno emozionato, anzi.
Un pubblico particolarmente concitato è stato quello per Dillom, rapper argentino che dall’esterno appare un misto tra Gazzelle e Young Signorino – credeteci, è un paragone stranamente azzeccato – dall’interno è un Frankenstein di suoni nel miglior senso possibile, uno sperimentalismo rap che unisce musica latina, metal, trip hop. Il tutto con scenografie un po’ sognanti, un po’ horror: perfette per un artista tormentato ma con il tatuaggio di un brik di succo sulla guancia.
Rabbia pura è invece quello che trasmettono divinamente i Mannequin Pussy: Marisa “Missy” Dabice è carica, rivendica l’importanza politica della musica ed esorta il pubblico a un urlo liberatorio collettivo, centinaia di anime che hanno lasciato le proprie pene al vento. Anche qui uno spettacolo niente male, unica pecca: un’acustica non proprio eccellente, cosa che abbiamo avuto modo di notare anche con yeule in seguito (anche lei impeccabile, comunque).
“Questa canzone è per gli scemi in c**o”: così Amy Taylor presenta “Hertz” degli Amyl and The Sniffers – e già così vi abbiamo riassunto il loro concerto. La Taylor domina il palco in maniera egregia, ti ipnotizza e ti fa scatenare a più non posso – chissà come starà la persona a cui ha lanciato il top che stava indossando?
Devastante la tripletta Amyl and The Sniffers (foto qui sotto) – Vampire Weekend (foto in alto) – Pulp (con intermezzi di yeule e Deftones, causa coincidenze tempistiche). Se già i primi ci avevano fatto impazzire, Ezra Koenig e i suoi hanno messo su uno spettacolo di tutto rispetto, impeccabili da ogni punto di vista – il concerto più bello della serata in assoluto, e forse uno dei più interessanti che la sottoscritta abbia visto finora in vita sua. La loro è stata una festa magica tra sassofoni, violini e due (due!) set di batterie. L’unica band che sarebbe mai in grado di farci ripensare agli anni dell’adolescenza con nostalgia. Live da dieci e lode.
Altrettanto iconici i Pulp (avevamo dubbi? Assolutamente no): forse ci aspettavamo un’affluenza maggiore, considerando anche che al festival ci sono più persone quest’anno che nell’edizione dell’anno scorso, ma considerando che hanno dovuto suonare in contemporanea ai Deftones…
Ascendiamo definitivamente con i Justice: il duo francese ci vizia con un set spettacolare, un impianto luci fenomenale che ipnotizza mentre smettere di ballare diventa sempre più difficile. Hanno irrimediabilmente alzato lo standard delle serate di elettronica, e questo l’abbiamo potuto notare subito vedendo Peggy Gou: carina, simpatica, amata dal pubblico sempre e comunque. Purtroppo un po’ ripetitiva, poca inventiva, e altrettanto poco sforzo nelle visuals che la circondavano. Un dj set carino e leggero, tutto sommato non male – assistervi subito dopo i Justice, però è stato come assaggiare un tiramisù semplice dopo essersi gustati il menù di uno chef stellato. Perdonaci, Peggy, se puoi, ma come abbiamo detto i nostri standard si sono irrimediabilmente alzati (e non poco).
Come concludere questa giornata se non in after con A.G. Cook? Non classificabile, non quantificabile, non descrivibile: tutto un grande non. Eppure, soprattutto dopo l’uscita di “Britpop”, lui continua a essere un grandissimo sì. Speravamo che durante la sua esibizione spuntasse Charli XCX, ospite del festival nella serata di sabato, ma purtroppo così non è stato: attendiamo con grande trepidazione di vederla come andrà sabato allora, e nel mentre pregustiamo le esibizioni di questo venerdì: Lana Del Rey, Troye Sivan, Arca, Dogstar.