I Dehd arrivano con un nuovo album continuando il loro percorso che negli anni li hanno sempre più portati all’attenzione del grande pubblico, mantenendo un certo equilibrio tra l’essere affascinanti weirdo e allo stesso tempo capaci di strizzare l’occhio al mainstream.
Un’attitudine abbastanza naturale che permetteva di catturare l’attenzione sia di chi cercava il brivido indie sia di quelli che cercavano la melodia accattivante che ti si piazza in testa, esprimendo un potenzialità’ che per quanto mi riguarda alimentava un certa curiosità sulla strada che avrebbero scelto di percorrere.
Una band che avrebbe sulla carta parecchie frecce da scagliare e che nella figura di Emily Kempf (basso, voce) trova un carismatico punto di forza alimentato comunque anche da Jason Balla (chitarra, voce) ed Eric McGrady (batteria), capaci di una semplicità che potrebbe essere sviluppata volendo verso costruzioni sonore complesse.
In attesa di questo “Poetry” ero curioso di ascoltare in quale territori si sarebbero avventurati i Dehd, se il surf pop avrebbe avuto il sopravvento sulla parte punk e “strana” della band oppure avremmo avuto di fronte un album stimolante e coraggioso.
Ascoltandolo resto un po’ deluso, il lavoro sicuramente è ben prodotto, lucidato per bene nel quale la band infila una serie di melodie pop semplici che spesso danno un senso di già ascoltato come avviene subito dal brano di apertura “Dog Days” che scivola via inoffensivo e senza reali motivi di interesse.
In gran parte dei brani sono i riff puliti ma un po’ scontati di chitarra Jason Balla ad animare questo andamento pop, ma non manca qualche pezzo interessante come “Mood Ring” nella parte iniziale e per il cantato a due voci o “Light On” che funziona nel cantato indolente e nella sezione ritmica e infine “Knife”, un lento riuscito per merito di Emily che da un tocco particolare al brano.
Troppo poco per un lavoro tanto atteso che in fondo è un insieme di melodie che danno un senso di già ascoltato e prevedibilità, un album che paradossalmente potrebbe avere un buon successo mainstream ma che nel complesso risulta poco interessante e coinvolgente.